Big contro Renzi, è resa dei conti nel Pd

Il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina parftecipa a un'iniziativa a sostegno della candidatura di Matteo Renzi alla segretaria del Pd a Firenze. ANSA/ MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

ROMA. – Matteo Renzi precipita il Pd in ciò che tutti gli altri dirigenti avevano cercato di evitare: una resa dei conti interna e una conta alla direzione di giovedì prossimo. L’intervista, da Fabio Fazio, dell’ex segretario quattro giorni prima della Direzione, cercando di determinarne l’esito a prescindere dal confronto interno, ha esasperato tutte le altre correnti e big Dem. A cominciare dal reggente Maurizio Martina, tutti, da Franceschini a Orlando, da Zingaretti a Emiliano, hanno invocato un “chiarimento”, vale a dire un voto, che dovrebbe accelerare i tempi dell’Assemblea nazionale e del congresso, nel pieno della crisi di governo.

Ma Renzi non demorde: “Ho il diritto-dovere di illustrare le mie scelte”. Comincia Gianni Cuperlo di prima mattina ma l’onda contro l’ex leader monta per tutta la giornata coinvolgendo Piero Fassino, Dario Franceschini, fino a poco fa in maggioranza, Andrea Orlando, Goffredo Bettini e via così, tutti critici per le esternazioni di Renzi, innanzi tutto per il fatto di non averle pronunciate in direzione.

La critica non riguarda tanto il contenuto delle parole dell’ex premier, condivise da alcuni suoi critici, quanto che abbia deciso di parlare in tv direttamente ai militanti, per determinare una pressione sulla riunione di giovedì impedendo il confronto. Martina nel pomeriggio ha fatto una dichiarazione netta: “Ritengo ciò che è accaduto – sostiene il reggente – in queste ore grave, nel metodo e nel merito. Così un Partito rischia solo l’estinzione e un distacco sempre più marcato con i cittadini e la società. E’ impossibile guidare un partito in queste condizioni e per quanto mi riguarda la collegialità è sempre un valore, non un problema”.

Parole da qualcuno interpretate come una minaccia di dimissioni, escluse però dallo stesso Martina all’Ansa. La parola chiave pronunciata da tutti i critici di Renzi è “chiarimento”, che, in direzione o in assemblea, si tradurrà in un voto. I parlamentari vicini a Renzi hanno tentato di gettar acqua sul fuoco, sottolineando che l’ex segretario non ha fatto altro che ribadire quanto deciso dalla Direzione il 12 marzo, e che le reazioni odierne sono esagerate.

Ma il punto è che in direzione si sarebbe dovuto discutere se modificare la precedente decisione di un Pd schierato all’opposizione. Parole che non soddisfano gli altri dirigenti dem. Lorenzo Guerini ha esortato tutti a tenere i nervi saldi, per evitare spaccature, ma proprio questa appare a molti leader l’unica soluzione per il “chiarimento”. In serata Renzi ha riattizzato le ceneri scrivendo su twitter che è suo “dovere e diritto” spiegare agli elettori il “no” all’accordo con M5s, visto che è stato “eletto in un collegio”.

Lo scenario possibile è che giovedì Martina svolga la sua relazione in cui proporrà una linea diversa da quella di Renzi, e su questa chieda un voto. Una mossa di primo acchito azzardata, dato che Renzi ha sulla carta 117 voti su 209 della Direzione. Ma è proprio sul timore di questi numeri da parte delle altre correnti che Renzi ha finora contato.

Al netto delle possibili defezioni tra le truppe dell’ex segretario (ad esempio chi non è stato ricandidato), i leader delle altre correnti ritengono che occorra tentare la conta, che in caso di bocciatura della relazione di Martina, porterà ad anticipare il congresso e al definitivo chiarimento, mentre Renzi puntava a primarie ai primi del 2019. Solo la prospettiva di un nuovo segretario, si ragiona nella minoranza, può aprire il “liberi tutti” tra i renziani.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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