Scontro finale tra Mueller e Trump sul Russiagate

Il procuratore speciale del Russiagate, Robert Mueller. EPA/SHAWN THEW

WASHINGTON. – E’ arrivato il momento dello showdown, della resa dei conti finale, fra Robert Mueller e Donald Trump. Il procuratore speciale del Russiagate ha minacciato la possibilità di emettere un mandato per far comparire il presidente americano davanti a un grand giury, se dovesse rifiutare di farsi interrogare da lui, come ha rivelato il Washington Post.

Una mossa che potrebbe portare ad uno storico conflitto davanti alla Corte suprema Usa, mentre il team legale del magnate cambia ancora: via a fine maggio il collaborativo Ty Cobb, l’avvocato della Casa Bianca che lo ha rappresentato finora nel Russiagate, dentro il più duro Emmet Flood, noto avvocato di Washington che ha tutelato l’ex presidente Bill Clinton durante l’impeachment.

Il New York Times ha pubblicato la lista delle oltre 40 domande che il super procuratore intenderebbe sottoporre al tycoon, facendolo andare su tutte le furie. Il monito di Mueller sarebbe arrivato all’inizio di marzo, dopo che i legali di Trump avrebbero insistito che il presidente non ha alcun obbligo di parlare con gli investigatori federali nell’indagine sulle presunte interferenze russe nelle presidenziali Usa.

Di fronte all’opzione del grand giury, John Dowd, all’epoca l’avvocato leader del team difensivo, avrebbe replicato duro: “Questo non è un gioco. Stai facendo perdere tempo al presidente degli Stati Uniti”. Mueller comunque avrebbe fornito ai difensori di Trump informazioni più specifiche sui temi dell’interrogatorio. Dettagli con cui lo stesso team legale del tycoon potrebbe aver stilato l’elenco dei possibili quesiti, come ipotizza il Wp, prevedendo un’audizione di almeno due giorni.

L’ira di Trump è esplosa come sempre su Twitter, dove si è indignato per la fuga di notizie e ha esposto il suo teorema: l’indagine è nata “da un’informazione classificata trapelata illegalmente”, non c’è stata collusione, quindi “apparirebbe molto difficile ostruire la giustizia per un crimine che non è mai successo”, è solo “una montatura e una trappola”.

Il tycoon ha poi minacciato per la prima volta di usare i suoi poteri presidenziali – che comprendono la possibilità di licenziare qualunque dipendente della branca esecutiva – e di intervenire nell’attività del dipartimento di Giustizia: “Un sistema truccato. Non vogliono consegnare documenti al Congresso. Di cosa hanno paura? Perché così tanti omissis? Perché questa ‘giustizia’ iniqua? Ad un certo punto non avrò altra scelta che usare i poteri garantiti alla presidenza ed essere coinvolto!”, ha twittato, riferendosi alle intercettazioni subite dal suo ex consigliere Carte Page e mettendo implicitamente nel mirino ancora il vice ministro Rod Rosenstein, da cui dipende Mueller.

Intanto Rosenstein aveva ammonito che non si lascerà intimidire, dopo aver denunciato di aver ricevuto per molto tempo minacce, pubbliche e private. Trump ha anche fatto capire come vede certe domande di Mueller sul suo siluramento del capo dell’Fbi James Comey o del consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn: “Una intrusione nei poteri del presidente, previsti dall’articolo 2 della Costituzione, di licenziare qualunque dipendente della branca esecutiva”.

I quesiti di Mueller riguardano anche la sua ira per la ricusazione dal Russiagate dell’attorney general Jeff Sessions, da cui sperava di essere “protetto”, e il sospetto coordinamento della sua campagna con Mosca: un campo minato dove l’indisciplinato Trump può scivolare facilmente.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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