Tra Iva e manovrina, è slalom per i conti pubblici

ROMA. – Disinnescare le clausole di salvaguardia, approvare una manovra da presentare all’Europa nei tempi stabiliti ed evitare a tutti i costi di far anche solo aleggiare lo spettro dell’esercizio provvisorio. Sarebbero innanzitutto questi gli obiettivi di un governo di tregua, in grado di sminare gli effetti recessivi dei potenziali aumenti dell’Iva e di scongiurare da una parte la reazione incontrollata dei mercati, rimasti finora sostanzialmente benevoli di fronte all’incertezza politica italiana, e dall’altra la reprimenda di Bruxelles, dove il giudizio è rimasto al momento sospeso in attesa che Roma riesca in qualche modo a sbloccare lo stallo post-elettorale.

Nonostante le differenze di vedute tra il governo italiano e i commissari europei, più che una pagella dalla Commissione è infatti arrivata finora solo una fotografia dello stato dell’arte, senza esplicite richieste di aggiustamento da tradurre in una ‘manovrina’ estiva. Tanto più che le previsioni sui conti pubblici pubblicate ieri e commentante da Pierre Moscovici hanno già incorporato la sterilizzazione degli aumenti Iva tutta in deficit.

Calcolando per l’Italia un indebitamento netto dell’1,7% nel 2019, la Commissione ha dato per scontato che le clausole saranno disinnescate e, senza al momento sollevare particolari rimostranze, che lo saranno utilizzando un’unica chiave, quella della finanza pubblica.

In realtà, guardando al quadro tendenziale presentato nel Def, con un deficit per il 2019 calcolato dal Ministero dell’Economia allo 0,8% a legislazione vigente, disinnescare i 12,4 miliardi di aumenti Iva solo utilizzando la leva dell’indebitamento significherebbe portarlo fino all’1,5%. Cioè ad un livello comunque in lieve miglioramento, secondo il punto di vista italiano, rispetto all’1,6% previsto come risultato del 2018.

Non è affatto detto in ogni caso che per cancellare i rialzi sia poi effettivamente utilizzato solo il deficit. Finora i governi Pd lo hanno fatto solo in parte, cercando altrove, per esempio nella lotta all’evasione e nella spending review, altre forme di copertura.

L’essenziale, innanzitutto per il Quirinale, è però che in autunno l’Italia non si faccia trovare impreparata o che si trovi in situazioni limite come quella del 2011 quando, approvata in fretta e furia la Finanziaria dell’ultimo governo Berlusconi, l’esecutivo Monti fu poi costretto a dicembre a varare il ‘Salva Italia’, con una manovra aggiuntiva da 30 miliardi.

Per questo in Parlamento c’è anche chi, con basi più o meno concrete, ipotizza addirittura prima dell’estate un decreto legge ad hoc solo per scongiurare gli aumenti delle tasse. Il caos politico tra i partiti sta però ingarbugliando la situazione, al punto che anche l’iter parlamentare del Def sembra appositamente allungarsi per prendere tempo.

La prossima settimana, a partire da martedì, è prevista una lunga serie di audizioni che preluderanno all’esame effettivo del Documento nelle Commissioni speciali nel corso della settimana successiva. In Aula non si arriverebbe dunque prima del 18 maggio, consentendo tempi lunghi anche per la risoluzione.

Una delle ipotesi è quella di presentarne una sola, condivisa da tutti, in cui si concordi unitariamente proprio sull’Iva, senza però fornire ulteriori indicazioni programmatiche. Ma molto dipenderà dagli eventi, a partire dall’esito delle consultazioni lampo di lunedì.

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