Argentina: crisi infinita, tassi al 40% dopo il crollo del peso

ROMA. – L’Argentina torna ancora una volta a guardare negli occhi la crisi, con un rialzo monstre dei tassi d’interesse al 40% per fermare il crollo del peso: è il segnale preoccupante che dopo il dramma del default del 2001 e gli anni del protezionismo di Cristina Kirchner, è finita la luna di miele fra il presidente Mauricio Macrì – che aveva promesso di attrarre capitali e riequilibrare le finanze pubbliche – e gli investitori.

Lo scorso anno il paese era riuscito a riconquistare la fiducia dei mercati vendendo 2,75 miliardi di bond centennali, facendo parlare di una svolta con la nuova amministrazione. Molti riconoscono le riforme fatte dall’amministrazione di centro-destra del politico di origini calabresi, che nonostante le proteste hanno riavvicinato Buenos Aires al Fmi e ai suoi dettami liberisti: dal mercato del lavoro alle pensioni, dalla burocrazia al fisco con lo slogan ‘Cambiemos’.

Ma a un anno e mezzo dalle elezioni l’inflazione al 15%, il deficit massiccio e lo squilibrio corrente con l’estero non danno tregua. Il peso argentino è la peggiore fra le maggiori valute emergenti quest’anno, con un crollo del 19% da gennaio. Il secondo rialzo dei tassi in una sola settimana deciso oggi, con l’annuncio shock di un aumento di 6,75 punti percentuali dal giorno alla notte, è riuscito a far salire la valuta del 5% vicino a 21 per dollaro: ma sono briciole di fronte al minimo record di 23 segnato appena ieri.

Sui mercati è apprezzato il drastico sforzo anti inflazionistico della banca centrale guidata da Federico Sturzenegger. Ma molti sono scettici che funzionerà, con uno squilibrio corrente e un deficit di bilancio che insieme superano il 10% del Pil. L’Argentina rischia così una nuova spirale, con il crollo del peso – una discesa sconcertante senza segni di discontinuità dal 2001 ad oggi – che alimenta a sua volta l’inflazione.

C’entrano molto i grandi flussi finanziari globali. Dopo gli anni del gigantesco ‘carry trade’ con cui gli investitori prendevano in prestito gratis in dollaro e investivano in valuta emergente, ora una marea di denaro fa dietro front, attratta dai tassi in rialzo sul dollaro, che peraltro stanno ‘contagiando’ i tassi dei paesi emergenti. E le principali banche centrali cominciano a riassorbire la liquidità record globale del decennio passato.

Le Cassandre più smaliziate parlano di una chiara crisi dei Paesi emergenti partita dai paesi con meno anticorpi. Basta guardare al crollo della lira turca, ai minimi record e con un -10,4% quest’anno, e del rublo, -9%. Ma l’Argentina è sempre un caso a sé e i mercati attendono Macrì al varco: chiedono una riduzione dell’inflazione con misure fiscali che saranno impopolari, una stretta di bilancio considerevole, anticipata e maggiore del previsto.

Il presidente l’aveva già annunciata per quest’anno, con un obiettivo di deficit primario al 3,2%. La pressione di questi giorni ha oggi costretto il ministro del Tesoro Nicolas Dujovne a promettere di più, un 2,7%. Rischia di essere solo l’inizio, con Macrì costretto a fare i conti da una parte con la finanza estera, dall’altra con un malcontento popolare che torna a farsi sentire: dopo gli scontri di fine 2017 sulle pensioni, è braccio di ferro con i sindacati che chiedono aumenti per mantenere i salari al passo con l’inflazione.

(di Domenico Conti/ANSA)

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