Economia rallenta, spettro rialzo dell’Iva con voto d’autunno

Operai al lavoro in industria metalmeccanica

ROMA. – L’aumento dell’Iva potrebbe diventare un bivio per la politica, con il rischio che nell’incrocio dei tempi del ricorso alle urne e della formazione di un governo, non si riesca disinnescare il rincaro che scatterà a partire dal prossimo gennaio. I partiti, che avviano l’esame del Def, vogliono certamente cancellare l’aumento dell’imposta.

Ma ora c’è anche il monito del presidente della Repubblica che ha messo in guardia, se si andasse alle urne in autunno, sullo spettro non si faccia in tempo a trovare le coperture. A pesare è anche una situazione economica che torna improvvisamente fragile, con l’Istat che registra segnali di rallentamento che non lasciano ben sperare.

Il rincaro Iva sarebbe per questo un’ulteriore mazzata. Per questo, in un clima di sempre maggiore incertezza politica, diventa la priorità assoluta lo stop al rialzo fino al 24,2% per l’aliquota ordinaria e all’11,5% per quella ridotta.

Lo ha ricordato anche Sergio Mattarella dopo l’ultimo giro di consultazioni: con le elezioni in autunno – ha spiegato – c’e’ il rischio che ”non vi sia tempo per approvare dopo il voto la legge di bilancio entro fine anno con l’aumento dell’Iva e con gli effetti recessivi che questa tassa comporterebbe e il rischio di esporre la situazione finanziaria a manovre e a offensive della speculazione finanziaria sui mercati internazionali”.

Il tema è urticante anche per i partiti. Tanto che il leader M5s, Luigi Di Maio, aveva esplicitato l’idea, da giorni in circolazione in Parlamento, del ricorso ad un decreto per sterilizzare gli aumenti Iva. “Non dobbiamo aspettare neanche la formazione del governo”, l’aumento, ha detto al termine dell’incontro al Quirinale con Sergio Mattarella, “va scongiurato già nella discussione sul Def e fissato poi con un provvedimento, anche un decreto, se dovesse servire”.

Il banco di prova, anche alla ricerca di una maggioranza ”politica” che guardi ai contenuti, potrebbe essere l’esame del Documento di economia e finanza che inizierà ufficialmente domani, con il ciclo di audizioni delle Commissioni speciali di Camera e Senato. Il primo ad essere ascoltato sarà il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, cui seguiranno i magistrati della Corte dei Conti.

Mercoledì sarà invece la volta di Istat, Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio e degli enti locali. Subito dopo la palla passerà ai partiti e toccherà a loro decidere se presentare una risoluzione unitaria, che come indicato dal leader 5 Stelle, potrebbe mettere nero su bianco la volontà comune di sterilizzare l’Iva, o risoluzioni ‘singole’ senza maggioranza.

Nell’attesa, il sasso della ‘manovrina’ estiva, come l’ha già ribattezzata Di Maio, è stato dunque lanciato. Maurizio Martina sembra però già non aver gradito, dicendosi contrario a soluzioni “abbozzate”, prive di una più nutrita agenda economica sottostante.

Tutto da capire resta infatti il modo con cui gli aumenti potranno essere scongiurati, se sfruttando unicamente la leva del deficit, con il rischio di passare sotto le forche caudine della Commissione europea, o se utilizzando un mix di indebitamento e spending review, ma con tutte le difficoltà politiche del caso. Il prossimo governo, di ”garanzia” o politico che sia, di breve o medio termine, potrebbe peraltro avere a che fare con un nuovo pericoloso rallentamento dell’economia.

L’Istat, che solo la scorsa settimana ha certificato per il primo trimestre una sostanziale tenuta del Pil, ha rilevato per il mese di aprile un rafforzamento dei segnali di decelerazione che potrebbero indicare una “minore intensità della crescita”. La fiducia dei consumatori e delle imprese è in calo e gli impianti manifatturieri non danno segnale di vitalità. Se a questo si aggiungesse un’eventuale guerra dei dazi, la situazione, per un paese come il nostro che trae linfa dalle esportazioni, potrebbe rapidamente precipitare.

Notizie positive arrivano intanto però dalle entrate fiscali. Nei primi tre mesi del 2018 il gettito misurato dal Mef ha superato i 97 miliardi di euro con un incremento del 2,8%, grazie al buon andamento di Ires e Irpef, ma anche dell’Iva.

(di Mila Onder/ANSA)