Casellati: “Servono nuove leggi per stampa più libera”

ROMA. – Nel mondo “ogni due giorni viene ucciso un giornalista e il 92% di questi reporter uccisi non sono di guerra, ma locali, impegnati in inchieste sul loro territorio. Dal 2015 al 2017 ci sono stati 21 casi di giornalisti uccisi nei Paesi membri del Consiglio d’Europa di cui 11 in paesi dell’Unione europea”. Sono fra gli allarmanti dati esposti al convegno internazionale “Trasparenza e libertà di informazione nello Stato di diritto.

Giornalisti minacciati e sistemi di protezione”, organizzato a Roma, in Campidoglio, da Agcom e Ossigeno per l’Informazione con il patrocinio dell’Unesco e in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Lazio. Le minacce ai giornalisti che arrivano fino agli omicidi, rimasti spesso impuniti (“si ha giustizia una volta su 10” spiega Mehdi Benchelah, della Divisione per la Libertà di Espressione dell’Unesco), le querele temerarie, le intimidazioni e gli attacchi sul web (di cui sono vittima soprattutto le giornaliste) e il ricatto economico legato ai bassi compensi sono stati fra gli argomenti principali del dibattito.

“Una stampa più libera, più forte e meno condizionabile passa dalla necessità ineludibile di rinnovare la giurisprudenza italiana in materia – sottolinea in apertura il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati -. Alcune leggi sono datate e inutili”. Libertà di stampa “non può essere libertà di diffamare, ma serve armonizzare la normativa in materia – aggiunge -. Non può coesistere nel nostro ordinamento un disequilibrio tale per cui, in punto di diritto, si rischia una condanna maggiore per un reato di diffamazione a mezzo stampa piuttosto che per un omicidio colposo”.

La sindaca di Roma Virginia Raggi, sottolineando i dati “non incoraggianti” sulla libertà di informazione in Italia (siamo al 46/o posto secondo il rapporto 2018 di Reporters sans frontières), ricorda che “dal 2006 sono 3603 i casi di giornalisti e blogger italiani minacciati perché facevano il loro mestiere”.

Trovare e punire i responsabili non è facile: “In Italia il 99% delle minacce a un giornalista rimane impunita – dice Alberto Spampinato presidente di Ossigeno per l’informazione -. Sono 28 i giornalisti italiani uccisi dal 1960 al 1993. Poi non ci sono stati altri morti perché la protezione da parte delle forze dell’ordine nel nostro Paese, a differenza di altri, funziona, ma ad oggi ci sono 20 giornalisti sotto scorta, 167 sotto protezione e tantissimi sono minacciati”.

Intimidazioni che possono essere “anche economiche – spiega il presidente dell’AgCom Angelo Marcello Cardani -. L’età media dei giornalisti aumenta, il reddito medio scende, con una difficoltà ovvia di sopravvivenza. Il 40% dei giornalisti attivi guadagna meno di 5000 euro l’anno”.

E spesso interviene l’autocensura anche per paura delle cosiddette querele temerarie, sempre più diffuse: “uno strumento che ha successo perché isola il giornalista” dice il direttore dell’AgCom Marco Delmastro.

Ma c’è chi va avanti con coraggio, anche vivendo sotto scorta, come Federica Angeli, autrice di indagini sulla mafia e sul malaffare di Ostia e Paolo Borrometi che stando a recenti intercettazioni la mafia aveva deciso di uccidere. “La funzione del giornalista è anche quella di difesa. I tempi della giustizia sono lunghissimi e i cittadini possono avere un riscatto attraverso l’informazione” dice Federica Angeli fra gli applausi.

Per Borrometi “va combattuto l’oblio in cui finiscono molti giornalisti minacciati. Non basta la solidarietà a livello personale, serve l’aiuto di nuovi strumenti a livello normativo”. Nessun giornalista “che va a raccontare i fatti e porta la luce della democrazia sulle vicende del malaffare di questo Paese può essere lasciato solo” conclude il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Carlo Verna, che commenta anche l’aggressione subita proprio oggi dall’inviato di Nemo Nello Trocchia: “Ovviamente ci costituiremo parte civile, saremo al suo fianco”.

(di Francesca Pierleoni/ANSA)

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