Il politologo Salamey: “Iran alle corde, difficile prevedere reazione”

Imad Salamey, docente di Scienze politiche alla Lebanese American University di Beirut

BEIRUT. – Per l’Iran l’effetto rischia di essere “devastante”. Teheran si sentirà alle corde, ma difficilmente potrà reagire con nuove iniziative militari nella regione, perché “non c’è molto che può fare”. Questo lo scenario previsto da Imad Salamey, docente di Scienze politiche alla Lebanese American University di Beirut, dopo il ritiro degli Usa dall’accordo nucleare del 2015, con la conseguente reimposizione delle sanzioni contro Teheran.

“Quello che il presidente Barack Obama si aspettava da un riavvicinamento all’Iran – dice all’ANSA Salamey – non si è realizzato. Sperava che l’intesa avrebbe rafforzato l’ala moderata del regime iraniano e migliorato le relazioni tra la Repubblica islamica e gli Stati Uniti. Invece chi ha beneficiato di questo accordo è stata la Russia, che ha rinsaldato la sua alleanza con Teheran e l’ha appoggiata nella sua politica di intervento in Siria, Yemen e altri Paesi della regione. Per Washington è stato un fallimento, che non è stato determinato dalle politiche di Donald Trump. Il tentativo semplicemente non ha funzionato, indipendentemente da chi c’è oggi alla presidenza”.

Secondo Salamey anche i Paesi europei seguiranno la decisione di Trump di abbandonare l’intesa, nonostante le resistenze e le proteste di questi giorni. “Lo faranno – afferma il docente – o perché anche l’Iran straccerà l’accordo e riprenderà le sue attività nucleari. Oppure perché la Casa Bianca aumenterà comunque le pressioni. Il primo effetto è che l’economia iraniana, che deve già far fronte a molti problemi, sarà devastata. Questo provocherà profonde divisioni nel regime iraniano, anche per le ingenti risorse impiegate per la politica di espansione fin qui seguita”.

Di fronte ad una situazione così drammatica, quali sono le mosse che ci si possono aspettare da Teheran? “Questo – ammette Salamey – è difficile da prevedere. E’ possibile che il vertice del regime, cioè la Guida suprema Ali Khamenei, decida un ritiro graduale dai teatri di crisi. Ci vorrà tempo per capirlo. Trovo però improbabile che l’Iran decida di incrementare le sue iniziative militari nella regione. Stanno già facendo tutto quello che possono, con la presenza in Siria, i missili balistici forniti ai ribelli Houthi in Yemen, l’attivismo di Hezbollah. Cos’altro possono fare? L’interventismo all’estero può avere un senso se porta benefici sul piano interno. Non se diventa controproducente”.

Resta tuttavia l’incognita in Libano, dove nelle elezioni di domenica Hezbollah e i suoi partner, cioè l’altro partito sciita Amal e quello cristiano del presidente Michel Aoun, Corrente patriottica libera, hanno ottenuto un successo che li ha portati a controllare oltre la metà dei seggi parlamentari. “In questo caso – è la valutazione di Salamey – l’Iran potrebbe giocare una carta politica, cercando di imporre la scelta di un nuovo primo ministro che sia più in linea con le politiche iraniane. Ma credo che incontrerebbe una decisa resistenza degli altri schieramenti. Non sarebbe un’operazione facile”.

Intanto sia il primo ministro uscente Saad Hariri, schierato su posizioni filo-saudite e filo-occidentali, sia il capo di Hezbollah, Seyed Hassan Nasrallah, hanno fatto appello ad una collaborazione di tutti i partiti per formare un nuovo governo di unità nazionale come quello in carica fino ad ora. E secondo la maggior parte degli osservatori Hariri è il candidato che ha più probabilità di succedere a se stesso.

(di Alberto Zanconato/ANSA)

Lascia un commento