Sollievo Pd se sfuma voto, ma salta tregua interna

Il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina parftecipa a un'iniziativa a sostegno della candidatura di Matteo Renzi alla segretaria del Pd a Firenze. ANSA/ MAURIZIO DEGL'INNOCENTI

ROMA. – Il sollievo di tutti, per le elezioni che sembrano sfumare. E la fragile tregua interna che già si rompe. Così il Pd vive le ore delle trattative per il governo M5s-Lega. La minoranza recrimina: vince la “linea dei pop corn”, dei Dem spettatori di una partita altrui, ma si poteva provare a evitarlo dialogando con M5s ed è “da Tso” esultare per i “populisti” a Palazzo Chigi.

I renziani replicano che c’era poco da fare: Di Maio e Salvini inseguivano un’intesa dal 5 marzo. Matteo Renzi si mostra cauto: aspettiamo fino all’ultimo perché basta un attimo a precipitare verso urne anticipate assai rischiose per il Pd.

Ma la sola ipotesi che un governo nasca, allarga sorrisi e cambia lo schema di gioco: l’assemblea del 19 maggio non servirà più a siglare una tregua “elettorale” tra le correnti ma a decidere se indire subito il congresso o scegliere un segretario che traghetti verso un congresso a inizio 2019.

Ma chi sostiene Maurizio Martina, unico candidato in campo, avverte: o si fa subito il congresso o si elegge un segretario, “non a tempo”. “Io sono molto preoccupato per il rischio di una deriva estremista”, dice in serata il reggente Dem, parlando del governo.

E’ una preoccupazione che, notano i franceschiniani, ci si poteva forse risparmiare avviando quel dialogo con i Cinque stelle bloccato da Renzi. “Chi ha sottovalutato questo esito sino ad auspicarlo – dice dalla minoranza Gianni Cuperlo – dovrebbe farsi più di qualche domanda. Ora bisogna costruire l’alternativa. Da sinistra”. “Avremmo normalizzato il Movimento, dando l’appoggio esterno al governo Di Maio”, dice Francesco Boccia.

Ma il “forno” M5s con il Pd era strumentale, ribattono i renziani. E i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, in due assemblee parallele di deputati e senatori Dem, tratteggiano già un ruolo da “opposizione ferma e intelligente”, “responsabile ma a tutto campo”, al “governo delle destre”.

Se il ritorno alle urne avrebbe spinto un “armistizio” interno e la candidatura “naturale” di Paolo Gentiloni alla leadership di una ipotetica coalizione, la nascita di un governo riapre la partita interna. I renziani, che detengono la maggioranza in assemblea, non si sbilanciano ancora: l’ipotesi più gradita resta il congresso, da farsi in autunno o a marzo 2019.

Se l’assemblea indicasse una data, a gestire questa fase potrebbe restare il presidente Matteo Orfini, con la commissione congressuale. Ma c’è la possibilità che l’assemblea del 19 voti un segretario, che si impegni a dimettersi a fine anno per indire le primarie a inizio 2019: potrebbe essere – dicono – Graziano Delrio, Ettore Rosato, Lorenzo Guerini o anche Maurizio Martina. Ma il reggente non ha intenzione di essere eletto “a termine”.

E la minoranza vuole affrettare i tempi del congresso, anche perché ha già un candidato in pectore, Nicola Zingaretti, mentre il fronte renziano no. Nel partito c’è anche chi vorrebbe eleggere in assemblea un nome “di garanzia”, come quello del premier uscente Gentiloni, ma gli stessi che lo propongono reputano difficile che accetti.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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