I 70 anni d’Israele con l’ambasciata Usa a Gerusalemme

TEL AVIV. – Lunedì 14 maggio Israele compirà 70 anni e quello stesso giorno gli Usa apriranno – primi in assoluto – la propria ambasciata a Gerusalemme, riconosciuta da Donald Trump capitale dello Stato ebraico. Alla cerimonia non ci sarà il presidente Usa, che però sarà rappresentato dalla figlia Ivanka e dal marito, Jared Kushner.

La mossa di Trump ha scatenato le reazioni del mondo arabo e dei palestinesi, che da quel momento hanno interrotto i rapporti con gli Usa accusati di “non essere più un mediatore valido” nelle trattative di pace. Hamas da Gaza ha già annunciato la manifestazione lungo la barriera difensiva.

La data scelta da Trump per il trasloco cade non a caso nell’anniversario laico più sentito in Israele: ‘Yom HaAzmaut’, il ‘Giorno dell’Indipendenza’. Quel venerdì del 1948 il padre della patria David Ben Gurion lesse con voce emozionata da una palazzina nel centro di Tel Aviv la Dichiarazione che sanciva la nascita di Israele e realizzava il sogno di Theodor Herzl, padre del Sionismo.

Si era alla vigilia della partenza delle ultime truppe inglesi dall’allora Palestina governata su mandato delle Nazioni Unite dalla Gran Bretagna per 28 anni (1920-1948) e già si intravedevano i bagliori dell’imminente conflitto con i paesi arabi.

La Dichiarazione di Indipendenza aveva come base il voto dell’Assemblea delle Nazioni Unite che all’epoca contava 52 paesi membri. Quella Risoluzione – la 181 del 29 novembre del 1947 – spartiva con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti la Palestina Mandataria, stabilendo alla partenza delle truppe inglesi la creazione di uno Stato ebraico sul 56,4% del territorio e di uno Stato arabo sul 42,8%. Gerusalemme sarebbe rimasta affidata alle Nazioni Unite: una città sotto egida internazionale.

Il voto fu seguito con trepidazione dagli ebrei, sia in Palestina sia nella Diaspora: quando fu chiaro che a prevalere sarebbe stata la scelta della spartizione, una grande folla si riversò per le strade di Tel Aviv per festeggiare il sogno realizzato. Accettato dalla parte ebraica, il voto delle Nazioni Unite fu respinto da quella araba che considerò la spartizione, e la conseguente nascita di Israele, un danno e un torto alla popolazione palestinese. Ancora oggi quella nascita è ricordata dai palestinesi come la ‘Nakba’ (‘La Catastrofe’) e viene commemorata il 15 maggio di ogni anno.

Nei mesi successivi al voto e in vista dell’uscita inglese dal paese, il contrasto tra le due parti, già duro durante il Mandato, divenne ancora più acuto, con azioni di guerra cruente da entrambi gli schieramenti. Il 14 maggio Ben Gurion, insieme al governo provvisorio, decise di dichiarare l’Indipendenza con un giorno di anticipo: riuniti nella palazzina – oggi museo nazionale – appartenuta a Meir Dizengoff, primo sindaco di Tel Aviv, i 37 rappresentanti del popolo ebraico controfirmarono il documento che sanciva la nascita di Israele.

Punto focale del documento era l’appartenenza storica del popolo ebraico alla Terra di Israele, dove si era “formata la sua identità spirituale, religiosa e politica”. Ma si richiamavano anche la tappe successive tra cui la ‘Dichiarazione Balfour’ del 1917. Al tempo stesso si faceva appello alla pace, sia per la popolazione araba nel nascente stato sia ai paesi arabi vicini.

La storia andò diversamente: a poche ore dalla Dichiarazione, gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Giordania attaccarono il neonato Stato. Uno scontro durissimo alla fine del quale, contro ogni previsione, fu Israele a prevalere. Oggi, 70 anni dopo, il primo compleanno con Gerusalemme riconosciuta capitale di Israele dal potente alleato americano, non dal resto della comunità internazionale.

(di Massimo Lomonaco/ANSAmed)