Una nuova prova

In Venezuela domenica si vota. O si voterà se, nonostante i tanti appelli rivolti dalla comunità internazionale, il governo del presidente Maduro non deciderà di cambiare data all’ultimo momento. Il Paese che si mostra oggi all’elettorato presenta aspetti inquietanti. Il presidente Maduro non ha sorpreso con la sua candidatura. In più occasioni aveva espresso la sua volontà di aspirare alla rielezione. Il Psuv (Partido Socialista Unido de Venezuela), in altrettante occasioni, aveva avallato questo desiderio. Il capo dello Stato, in questa contesa elettorale, non pare abbia veri avversari. Fatta eccezione per Henri Falcón, gli altri candidati, tutti provenienti dal “chavismo”, sono solo comparse senza alcuna possibilità di successo. C’è chi specula che la loro candidatura sia stata espressamente voluta dal presidente Maduro per dare una parvenza di democraticità alla tornata elettorale di domenica, disertata dall’Opposizione che ritiene non esistano le condizioni per elezioni trasparenti, che accusa l’arbitro di parzialità e che reclama siano liberati i prigionieri politici in carcere.

Anche Henri Falcón è un ex “chavista”. Sconfitto nelle ultime ultime elezioni regionali – aspirava alla rielezione a Governatore dello Stato Lara, – la sua candidatura, fin dal primo momento, ha rappresentato un elemento di disturbo per la già precaria unità dell’Opposizione. La decisione, poi, di presentarsi nonostante la scelta dei maggiori partiti politici di ritirarsi sull’Aventino, ha contribuito a creare confusione tra chi si oppone all’attuale governo. La sua candidatura è sostenuta da una manciata di piccoli partiti senza un peso specifico e dal “Movimento al Socialismo” che è distante anni luce dal sogno dei suoi fondatori: Teodoro Petkoff, Pompeyo Marquez, Eloy Torres e Argelia Laya.

Queste elezioni, come d’altronde tutte quelle degli ultimi anni, si svolgono in un clima di tensione politica e istituzionale accompagnata dalla più grave crisi economica vissuta dalla Repubblica. Stando al Fondo Monetario Internazionale, il Venezuela, a fine 2018, registrerà una inflazione, anzi, una iper-inflazione del 13mila per cento. Ma attenti analisti dei fenomeni economici nazionali si azzardano a proiettare una iper-inflazione del 15mila, del  20mila e, addirittura, del 100mila per cento. Cifre da capogiro mai registrate in America Latina. Sempre l’organismo di Washington prevede una contrazione del Prodotto Interno Lordo del 15 per cento a fine anno. Così il Venezuela sommerebbe in 4 anni una contrazione del Pil di ben il 45 per cento. Un trend devastante per un Paese che, appena vent’anni fa, vantava un’economia prospera; un’economia con tanti problemi, è vero, ma proiettata verso la crescita. 

Non è tutto. Quando assunse il potere il presidente Chavez, nel paese esistevano oltre 12mila aziende. Oggi ne sopravvivono, in condizioni precarie, appena 3mila. Di queste, stando a Conindustria, potrebbero chiudere definitivamente altre mille. Le aziende che resistono alla crisi solo occupano il 30, 35 per cento della loro capacità di produzione. Se ciò fosse poco, quasi tutte le grandi multinazionali, fonti di posti di lavoro e di investimenti, hanno lasciato il Paese. Clorox, Suramericana de Soplados, Kimberly-Clark, General Motor, Fiat, Alitalia, General Mills, Bridgestone, e nei giorni scorsi Kellogg’s, sono solo alcuni dei nomi famosi che hanno ritenuto opportuno chiudere le proprie attività in Venezuela per trasferirle in altri paesi sudamericani.

La povertà, secondo una ricerca portata a termine da tre delle più autorevoli università del Paese, colpisce l’80 per cento della popolazione mentre cresce vertiginosamente la diaspora venezuelana. Stando al sociologo Tomas Paez i venezuelani residenti all’estero sono già oltre 3 milioni.

Ancora una volta si voterà con leader politici in carcere per le loro idee. Il Consiglio Nazionale Elettorale, poi, ha deciso di depennare importanti partiti politici dell’Opposizione – tra questi la coalizione rappresentata dal Tavolo dell’Unità Democratica che rese possibile il trionfo dell’Opposizione nelle scorse parlamentari – impedendo loro, qualora lo avessero desiderato, di presentare un proprio candidato alla presidenza. 

Ecco, questo è il Paese che si mostra oggi all’elettorato. In altre circostanze, come abbiamo sempre fatto in passato, il nostro appello sarebbe alla partecipazione, al voto. La Collettività, è sempre stata una nostra profonda convinzione, non può né deve restare in finestra ma deve essere protagonista del futuro del Paese perché ad esso è legato il proprio. Anche in questa occasione, il nostro appello è alla partecipazione. Ma, a differenza delle precedenti volte, oggi l’astensione rappresenta una ben precisa decisione politica; riflette una posizione politica chiara di fronte alla realtà del Paese. E’ un voto di protesta contro una maniera di governare; è un monito a chi, nonostante la crisi, si rifiuta di accettare i propri errori e di emendarli con un colpo di timone e decisioni dolorose ma necessarie per permettere al Paese di tornare a crescere e ai cittadini di guardare al futuro con ottimismo. 

Mauro Bafile