Usa pronti a sanzioni senza precedenti contro l’Iran

Nato in California, di origini abruzzesi, ex direttore della Cia, Pompeo ha "servito come soldato durante la guerra fredda in Germania"

WASHINGTON. – Sanzioni mai viste contro l’Iran, le “più forti della Storia”. Questo paventa il segretario di Stato Usa Mike Pompeo, se Teheran non cambia corso. E’ il pilastro principale della strategia di Washington dopo che il presidente Donald Trump ha sganciato gli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano.

Secca la risposta di Teheran: “Chi sei tu per decidere per l’Iran e il mondo? Il tempo per queste azioni è finito, e il popolo iraniano non ha prestato attenzione a queste dichiarazioni centinaia di volte”: ha tuonato il presidente iraniano Hassan Rohani, rivolgendosi direttamente a Pompeo.

L’amministrazione Trump “ha riportato gli americani indietro di 15 anni, all’era Bush. Ma oggi il mondo non accetta più che gli Usa decidano per gli altri”, ha aggiunto. Washington incassa lo scontato sostegno di Israele: Benyamin Netanyahu ha lodato l’approccio degli Stati Uniti. “Nessun arricchimento” di uranio; “sanzioni severe, ed uscita dell’Iran dalla Siria: questa a nostro giudizio l’unica politica che in fin dei conti potrà garantire la pace”, ha detto.

La strategia Usa, pur dettagliata in più punti, sembra pero’ in generale puntare a prendere le redini nel percorso da qui in poi, arrivando a chiedere ai partner europei -gli stessi rimasti frustrati dalla decisione americana di sganciarsi dall’intesa- appoggio e collaborazione. E’ il ‘piano B’: Pompeo lo ha svelato in un intervento all’Heritage Foundation, think tank conservatrice a Washington.

Il segretario di Stato è tornato a definire “perdente” l’accordo sul nucleare iraniano e con enormi ripercussioni in tutto il Medio Oriente, prima di scandire una lista di 12 “richieste di base” per l’Iran che ritiene debbano costituire le fondamenta della nuova strategia: l’Iran deve quindi interrompere l’arricchimento dell’uranio e mai processare plutonio. Deve consentire “accesso a tutti i siti in tutto il Paese” e deve rilasciare tutti i cittadini Usa, oltre a ritirare il suo sostegno ai ribelli Houthi in Yemen, ritirare tutte le forze dalla Siria e mettere fine alle minacce verso Israele.

“L’Iran – ha tuonato Pompeo – non avrà mai più carta bianca per dominare in Medio Oriente”. Un approccio ‘a tutto campo’ insomma, che parte però dalla formula collaudata (e forse ispirata anche dagli sviluppi nordcoreani ndr) della pressione massima attraverso le sanzioni. Su cui Washington fa quindi appello agli europei, nella speranza che i partner pur convinti di mantenere in vita l’accordo, possano comunque lavorare con gli Usa per mantenere la pressione sull’Iran ed eventualmente tornare al tavolo dei negoziati.

La decisione del presidente Trump “porrà difficoltà finanziarie ed economiche per i nostri amici”, ha osservato Pompeo ma ha insistito sulla posizione degli Usa determinati a mantenere la linea dura su eventuali violazioni delle sanzioni: “So che i nostri alleati in Europa potranno tentare di mantenere il vecchio accordo con Teheran. Questa è una loro decisione. Sanno qual è la nostra posizione”, ha detto.

Pompeo si fa così portavoce della fermezza di Washington su uno dei temi caldi della politica estera, mentre per gli sviluppi sull’altro fronte aperto -quello nordcoreano- sembrano moltiplicarsi le incognite. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in è atteso martedì a Washington per un incontro cruciale con Donald Trump in vista del summit del 12 giugno di Singapore tra il tycoon e il leader nordcoreano Kim Jong-un.

La visita di Moon, a poche settimane dal vertice intercoreano del 27 aprile con Kim, cade in un momento di ritorno dei dissapori dopo che Pyongyang ha cancellato la scorsa settimana un dialogo di alto livello con il Sud e minacciato di far saltare il summit di Singapore per le esercitazioni militari congiunte ancora in corso tra Washington e Seul e per le posizioni americane di “imposizione” sulla denuclearizzazione. Elementi di preoccupazione anche per Trump che teme adesso i rischi di una debacle proprio da quel vertice con Kim presentato fino ad ora come opportunità senza precedenti.