Cassazione, nelle separazioni i figli non siano divisi

Frontone del Palazzo Corte Cassazione Palermo. in alto le statue in bronzo di quattro cavalli impennati.
Il palazzo della Corte di Cassazione di Palermo. ANSA/GIOVANNI FRANCO

ROMA. – La Cassazione interviene a tutela del diritto di fratelli e sorelle a vivere e crescere insieme, quando padre e madre si separano, per evitare che i giudici li ‘collochino’ uno da un genitore e l’altro, o gli altri, dall’altro. Serve uno stop, secondo gli ‘ermellini’, ai provvedimenti che, nei casi dove è alta la conflittualità tra coniugi in guerra perenne, finiscono con il dividere anche il destino dei figli. Fratelli e sorelle devono mantenere saldo il legame a meno di evidenti controindicazioni.

Secondo la Cassazione, infatti, è “condivisibile” l’esortazione espressa – affrontando il caso della rissosa separazione di una coppia romana – dal Sostituto procuratore generale della Suprema Corte, Francesca Ceroni, magistrato di punta della Procura investita dei casi più delicati nel campo del diritto di famiglia (come quello del figlio della coppia delle aggressioni con l’acido e della figlia dei genitori anziani di Casale Monferrato, dati in adozione).

“La tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza impone che, in caso di separazione dei genitori, i fratelli e le sorelle debbano essere collocati presso il medesimo genitore, salvo che emerga la contrarietà in concreto di tale collocamento al loro interesse”: è questo il principio del quale il Pg Ceroni ha chiesto l’affermazione.

E per i supremi giudici, il principio è da sottoscrivere in nome della “necessità di preservare nelle separazioni la conservazione del rapporto fra fratelli e sorelle e di non adottare provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza”.

Nel caso affrontato, la Cassazione non ha convalidato la decisione presa dal Tribunale di Roma nel 2013, e poi dalla Corte di Appello nel 2016, di affidare ai servizi sociali una delle due figlie dei coniugi in rotta, nata nel 2004, disponendone la residenza prevalente dal padre, mentre l’altra figlia, piu’ grande, viveva stabilmente con la madre.

La donna aveva chiesto l’affidamento condiviso della figlia minore con “residenza principale” presso di se’ dato che la ragazzina aveva espresso la volontà di abitare con mamma e sorella. Per il consulente tecnico, “la madre era il genitore più attento ai bisogni della figlia” e c’era stato “un deciso peggioramento delle condizioni della minore che imponevano urgentemente un intervento psicoterapeutico per contrastare la tendenza alla depressione come conseguenza della separazione dalla madre e dalla sorella”.

Tuttavia il giudice della separazione, senza troppe spiegazioni, aveva collocato la ragazzina dal padre e non l’aveva nemmeno voluta ascoltare, in audizione protetta. Questo modo di procedere è stato criticato dalla Cassazione che ricorda che quando i minori si avvicinano ai dodici anni, quando scatta per il giudice l’obbligo di ascoltarli, il magistrato che si discosta dalle dichiarazioni rese dal minore al perito e dalle conclusioni della consulenza ha “l’obbligo di motivare la sua decisione con particolare rigore e pertinenza”.

Ora la Corte di Appello di Roma, ha disposto la Cassazione, dovrà ascoltare la ragazzina – che ormai ha 14 anni – e “partendo dal suo ascolto” verificare “quale sia la residenza della minore, presso il padre o la madre, maggiormente corrispondente al suo interesse”.

(di Margherita Nanetti/ANSA)

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