Mondiali: dal ’30 al trionfo tedesco a Rio, emozioni infinite (I)

Mondiali di calcio 1958: a sinistra Didì, al centro Pelé in lacrime, a destra Gylmar
Mondiali di calcio 1958: Svezia-Brasile 2-5

ROMA. – Novant’anni di emozioni e trionfi, amarezze e disfatte, vissuti a ogni latitudine. E’ il romanzo della Coppa del mondo, che in Russia scrive il suo ventunesimo capitolo. Senza l’Italia. Tutto comincia nel 1928, da un’idea dell’allora presidente della Fifa, il francese Jules Rimet, che decide di istituire un torneo riservato alle squadre nazionali. Al dirigente transalpino, che amava la letteratura, la poesia e la musica, servono un paio d’anni per mettere assieme (nel 1930) 13 squadre in uno stesso torneo.

L’originaria Coppa del mondo prende il nome dal suo ideatore e verrà assegnata definitivamente a chi è in grado di aggiudicarsela per tre volte. L’impresa riuscirà al Brasile che in Messico, nel 1970, completa la terna, portandosi a casa il prestigioso trofeo, poi rubato verso la fine del 1983, dagli uffici della Confederazione brasiliana del calcio, a Rio.

La statuetta, realizzata dall’orafo parigino Abel La Fleur, che inizialmente viene chiamata ‘Victory’, era già sparita un paio di volte: la prima, durante la seconda guerra mondiale: per salvarla dalle SS e dalla Gestapo, l’italiano Ottorino Barassi – segretario della Figc – la nasconde sotto il letto; nella seconda circostanza la coppa viene prelevata dalla Westminster Hall, a Londra, e ritrovata in un parco da un cagnolino di nome Pickles (Sottaceto, ndr), di proprietà di un certo Corbett, che annusa casualmente un pacco, strappa la carta che lo avvolge e ne mette a nudo il contenuto: spunta così ‘Victory’ e tutto il mondo sportivo tira un sospiro di sollievo.

Dopo il furto dell’83 – quando nel frattempo ai vincitori veniva consegnata la nuova Coppa, quella dell’italiano Gazzaniga – la coppa sarebbe stata fusa e trasformata in 1.800 grammi dei lingotti d’oro più famosi del mondo.

Da Montevideo a Johannesburg, ecco il viaggio del torneo che, negli anni, è divenuto uno spettacolo planetario

1930: è una delle due edizioni senza l’Italia, in questo caso a mancare non è la qualificazione ma l’invito. Il torneo (13-30 luglio) si disputa in Uruguay, per celebrare i 100 anni della Costituzione. La maggior parte dei match si disputa nello stadio Centenario, costruito appositamente. Tredici Nazionali, sette del Sudamerica, due dal Nordamerica e quattro europee, suddivise in quattro gruppi. In finale si ritrovano, davanti a 93 mila spettatori, i padroni di casa – reduci dal successo olimpico 1928 – e l’Argentina, che viene piegata per 4-2. La ‘Celeste’ passa con Dorado, l’Albiceleste pareggia con Peucelle e perfeziona il sorpasso con Stabile (re dei bomber, con otto centri), quindi viene raggiunta da Cea, superata da Iriarte e messa ko da Castro.

1934: si gioca in Italia, con 16 squadre al via e una formula che prevede fin dall’inizio l’eliminazione diretta. Gli azzurri guidati dall’alpino Vittorio Pozzo, che li seleziona prediligendo le virtù caratteriali, partono forte e alla fine superano ogni ostacolo, ultimo la Cecoslovacchia. Il 10 giugno la Nazionale trionfa a Roma, nello stadio del Partito nazionale fascista. Gli ospiti vanno in vantaggio con Puc, vengono raggiunti dall’oriundo Orsi e messi sotto nei supplementari da Schiavio. Capocannoniere è il cecoslovacco Nejedly, con 5 gol.

1938: terza edizione in Francia, stessa formula di quattro anni prima, stesso numero di squadre (4-19 giugno) e identici vincitori. L’Italia, sempre guidata da Pozzo e due anni prima olimpionica a Berlino, questa volta si impone sulla corazzata Ungheria, per 4-2: le doppiette di Colaussi e Piola vanificano le reti di Titkos e Sarosi. Il brasiliano Leonidas è il capocannoniere del torneo, con sette gol.

1950: dopo la pausa per la guerra, si torna in America latina (Brasile 24 giugno-16 luglio), e cala nuovamente a 13 il numero delle squadre. L’Uruguay ribalta il pronostico, con un’impresa eroica. Gli uomini guidati in panchina da Lopez Fontana, in campo dal leggendario Obdulio Varela, vincono l’ultima partita (in questa edizione non c’è finale) al Maracanà, davanti a quasi 200 mila spettatori, ribaltando il gol di Friaca per i padroni di casa, con Schiaffino e Ghiggia. L’Italia paga a caro prezzo la transoceanica in nave e non in aereo, come a voler esorcizzare lo choc legato alla tragedia di Superga, e va fuori per mano della Svezia. Il capocannoniere del torneo è il brasiliano Ademir (9 gol).

1954: un’altra clamorosa sorpresa segna la manifestazione organizzata dalla Svizzera (16 squadre al via, 16 giugno-4 luglio); proprio i padroni di casa eliminano gli azzurri. L’Ungheria di Puskas e Hidegkuti dà spettacolo, ma non supera l’ultimo ostacolo, la Germania Ovest che, nella finale di Berna, prima va sotto di due gol (Puskas e Czibor), quindi ribalta con Morlock e una doppietta di Rahn. Sandor Kocsis è capocannoniere (11 gol). E’ il primo Mondiale a essere trasmesso dalla tv.

1958: in Svezia comincia l’età dell’oro del Brasile e di Pelè. E’ la seconda edizione senza l’Italia, stavolta eliminata prima di arrivare alla fase finale dall’Irlanda del Nord. Una Nazionale sudamericana s’impone per la prima volta in Europa, grazie al ‘futebol bailado’. Il trio Didí-Vavá-Pelé diventerà un’ossessione estiva, agli albori del boom economico. Nella Selecao c’è tanta Italia: il ct è Vicente Feola, discendente da una famiglia di Castellabate (Salerno). La sua ‘creatura’ è un rullo-compressore, come dimostra il 5-2 rifilato alla Svezia in finale, con gol di Vavá e Pelé (doppiette) e Zagalo; inutile il vantaggio iniziale di Liedholm, come la rete di Simonsson. Il francese Just Fontaine è re dei goleador, con 13 centri.

(segue)

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