Corte Ue, no veti su soggiorno coniuge gay straniero

Coppia gay fotografata di spalle con la scritta "Just married"
Matrimonio gay. (Photo by Justin Sullivan/Getty Images)

ROMA. – Nozze gay e libertà di soggiorno sono due aspetti paralleli, per cui il primo non incide sul secondo. E anche gli Stati che non prevedano, nel loro ordinamento, il matrimonio omosessuale, non possono ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione europea rifiutando di concedere al suo coniuge, cittadino di un paese extra Ue, un diritto di soggiorno. Ai fini della libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, infatti, la nozione di “coniuge” comprende anche i coniugi dello stesso sesso.

E’ questo il senso di una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha stabilito come un Paese membro non possa imporre limiti alla libertà di movimento sancita dalla norme comunitarie al coniuge di una coppia gay che provenga da un paese extracomunitario.

La vicenda ha preso le mosse in Romania. E’ qui che Relu Adrian Coman, rumeno, e Robert Clabourn Hamilton, cittadino americano, sposatisi a Bruxelles nel 2010 dopo quattro anni di convivenza negli Stati Uniti, volevano stabilirsi. Ma quando hanno chiesto alle autorità rumene informazioni sulla procedura attraverso la quale Hamilton, in quanto familiare di Coman, potesse ottenere il diritto di soggiornare legalmente in Romania, si sono sentiti rispondere che il diritto era valido solo per tre mesi.

Il caso è finito di fronte alla Corte Costituzionale rumena e di qui alla Corte di Giustizia europea, che ora ha sciolto il ‘nodo’ giuridico, fissando alcuni punti fermi. Uno di questi è che gli stati membri possono prevedere restrizioni alla libera circolazione delle persone se basate su considerazioni oggettive, come motivi di ordine pubblico e comunque sempre sotto il controllo delle istituzioni europee.

Quanto all’obbligo di riconoscere un matrimonio omosessuale contratto in un altro Stato ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato non-Ue – spiega la sentenza – questo “non pregiudica l’istituto del matrimonio” né impone allo stato Ue in questione “di prevedere, nella sua normativa nazionale, l’istituto del matrimonio omosessuale”.