A Conte fiducia del Senato: “Noi populisti che ascoltiamo”

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Senato durante le sue dichiarazioni programmatiche, attorniato dai ministri del suo governo.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Senato durante le sue dichiarazioni programmatiche, Roma 5 giugno 2018. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – Si presenta come il garante del contratto di governo, rivendica il tratto positivo del termine “populismo”, apre a quanti vorranno aderire al programma di governo. Poi snocciola placido i punti salienti del programma, dalla legittima difesa alla lotta alla corruzione, dai dubbi sulle sanzioni alla Russia all’immigrazione. Rassicurando sull’euro e annunciando la sintesi della rivoluzione fiscale giallo-verde: una flat tax progressiva grazie ad un sistema di deduzioni che la renderanno per questo aderente al dettame costituzionale. E con una sola parola d’ordine:”cambiamento”.

Giuseppe Conte incassa la fiducia al Senato con 171 sì, 117 no (quelli di Pd e Forza Italia) e 25 astenuti, tra cui quelli di Fdi e dei senatori a vita (i tre presenti, mentre Napolitano, Rubbia e Piano erano assenti). Si presenta a palazzo Madama per chiedere i voti non solo “a favore di una squadra di governo ma di un progetto per il cambiamento dell’Italia, formalizzato sotto forma di contratto” dice nel suo discorso programmatico dove promette di voler svolgere l’incarico “con umiltà” ma anche con “determinazione” e, dice, “consapevolezza dei miei limiti ma anche con la passione e l’abnegazione di chi comprende il peso delle altissime responsabilità a me affidate”.

Compresa la difesa di un esecutivo da molti salutato come populista: “Ci prendiamo la responsabilità di affermare che ci sono politiche vantaggiose o svantaggiose per i cittadini. Le forze politiche che sostengono la maggioranza di governo sono state accusate di essere populiste e antisistema. Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo”.

Nella “nuvola” delle parole più citate nel suo discorso i termini reiterati sono quelli di “governo”, “cittadini” e “Paese”. Sono totem che non sembrano bastare ad uno dei due “soci” del contratto che non perde tempo per dare la sua versione del contratto che prenderà il via una volta che il governo avrà il via libera. E i toni non sono certo quelli di un’Aula che, nonostante “i toni da stadio” stigmatizzati dalla Presidente Alberti Casellati, accoglie senza tensione la pur aspra dialettica con l’opposizione.

Quella che si crea tra gli ex alleati del centrodestra, quella che evoca Matteo Renzi quando chiama i 5 Stelle alla presa di responsabilità quando dice: “voi non siete lo Stato, siete il potere, siete l’establishment. E non avete più alibi rispetto a ciò che c’è da fare. Noi non vi faremo sconti”.

Quella dell’ex premier Mario Monti che lancia l’allarme Troika e quella delle standing ovation liberatorie: una per sostenere il premier Conte e una rivolta alla senatrice a vita Liliana Segre che ringrazia il presidente Mattarella per “aver scelto come senatrice a vita una vecchia signora con i numeri di Auschwitz tatuati sul braccio”.

Matteo Salvini, invece, non intende far scendere la temperatura neppure per la ‘grande occasione’ della fiducia. Mentre i senatori stanno ancora svolgendo le dichiarazioni di voto chiama i giornalisti in sala stampa e rintuzza sui migranti con parole che hanno già suscitato indignazione:”Confermo che è strafinita la pacchia per chi ha mangiato per anni, alle spalle del prossimo, troppo abbondantemente: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in albergo a guardare al tv” dice e sminuisce l’allarme lanciato dalla Segre definendo “infondato” il suo timore di leggi speciali contro Rom e Sinti. Poi chiarisce misure che Conte aveva volutamente solo accennato: “Non siamo stati eletti per aumentare tasse, accise ed Iva: l’Iva non aumenterà”. Alitalia non sarà fatta a “pezzettini”.

(di Francesca Chiri/ANSA)