Conte e Pd, scontro in Aula su conflitto d’interessi

Il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina (C), con i colleghi di partito al termine del suo intervento durante il dibattito alla Camera sul voto di fiducia al nuovo Governo.
Il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina (C), con i colleghi di partito al termine del suo intervento durante il dibattito alla Camera sul voto di fiducia al nuovo Governo. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – Dal fair play relativo del Senato alle asprezze della Camera, in due giorni Giuseppe Conte fa la conoscenza con il Parlamento italiano. Prima di ottenere la fiducia scontata e definitiva al suo governo, il presidente del Consiglio subisce attacchi duri dal Pd, con il capogruppo Graziano Delrio che gli ricorda come “tutti i grandi dittatori lo fanno in nome del popolo”. Quel popolo del quale il professore si è proclamato “avvocato difensore”, rivendicando a Palazzo Madama un’accezione positiva del termine “populista”.

La bagarre in Aula si scatena sul conflitto d’interessi, quando il presidente del Consiglio nella replica, di fronte ad alcune intemperanze nell’emiciclo, dice “le vostre interruzioni dimostrano che ognuno ha il suo conflitto o pensa di averlo…”.

Apriti cielo. Dai banchi dem, dove fin dall’inizio si erano sprecati ironie e lazzi all’indirizzo del premier, esplodono intimando a Conte di scusarsi. “Questo è il Parlamento”, si inalbera Emanuele Fiano. Il presidente della Camera Roberto Fico interviene per riportare la calma, poi Conte commenta “sono stato frainteso, non sto accusando nessuno”. Ma non basta, i deputati Pd gli rinfacciano un presunto conflitto d’interessi nel “contratto con la Casaleggio associati”.

Altro casus belli, Piersanti Mattarella. Il premier lamenta le offese sui social network al fratello del presidente della Repubblica, ucciso dalla mafia nel 1980, ma lo chiama “congiunto” del capo dello Stato. “Si chiamava Piersanti!”, tuona Delrio. “Non strumentalizzate le vittime della mafia”, cerca di difendere Conte il neo capogruppo M5S Francesco D’Uva.

Ai democratici non basta la moderazione di Conte che parlando di ‘Buona Scuola’ e immigrazione dice “Noi non arriviamo per stravolgere le cose, per capovolgerle. Non vogliamo smantellare il passato, quello che di buono c’è stato”. “Non venga qui a fare lezioni, prima studi – gli dice ancora Delrio -. Lei non è qui per concederci il privilegio di osservare la costituzione, lei ha il dovere di osservare la costituzione”.

Un intervento quello di Conte iniziato con qualche incertezza nella ricerca dei fogli, trovati con l’aiuto di Luigi Di Maio. “Questi sono i temi. Te li trovo io, tu comincia a parlare”, gli dice il vicepremier. “Posso dire…?”, si sente poi Conte al microfono. “No”, risponde secco Di Maio.

Un discorso non ascoltato per intero dall’altro vicepremier, Matteo Salvini, che dopo una ventina di minuti se ne va per recarsi a brindisi dove aveva in programma un comizio elettorale. Un dibattito concluso poi dal fuori programma di Vittorio Sgarbi, che chiede di parlare e in dissenso paradossale con il gruppo di Forza Italia annuncia che voterà la fiducia al governo.

“Dove c’è il disordine io prospero”, dice sardonico il critico d’arte. “Conte è il vicepremier di due vicepremier”, ironizza l’avversario asfaltato da Di Maio nell’uninominale a Pomigliano d’Arco (Napoli). “E’ la mia assicurazione, porta bene”, dirà poi il ministro del Lavoro, ridendo. Il premier invece non sembra divertito, ma prende 4 voti più del previsto.

(di Luca Laviola/ANSA)