Ocse: un bravo professore cambia la vita degli alunni, ma è solo per elite

Un'aula universitaria affollata e prof di spalle in cattedra.
Nel mondo docenti più preparati e pagati.

ROMA. – Il prof bravo può cambiare la vita agli studenti che hanno la fortuna di incontrarlo ma è difficile che i docenti migliori si trovino in scuole che si trovano in contesti economici e sociali svantaggiati: il 97% degli insegnanti più qualificati hanno infatti una cattedra in scuole di elite anche se pubbliche. E’ questo uno dei dati più significativi che emerge, per l’Italia, dal Rapporto Ocse-Pisa.

Lo studio, che analizza i dati di 69 Paesi che hanno partecipato all’indagine per individuare le più efficaci politiche per l’insegnamento, evidenzia anche che in Italia solo 3 studenti su 100 ha risposto “insegnante” alla domanda posta tra gli studenti 15enni: “Quale lavoro pensi che farai quando avrai 30 anni?”. DI questi, il 5% sono ragazze, l’1% maschi.

Spesso però questo ‘vivaio’ di futuri docenti italiani ha livelli di competenze in lettura e matematica inferiori rispetto agli studenti stranieri che si sono proiettati verso lavori che richiedono una qualifica universitaria. In Paesi quali la Corea, la Germania, il Giappone, la Nuova Zelanda o la Svizzera – rileva il Rapporto – il ‘vivaio’ dei “futuri docenti” è composto dai migliori studenti del Paese. E questo finisce per spiegare non solo i salari più elevati, ma anche il livello di esigenza e professionalità richiesto ai docenti, che contribuisce al loro prestigio nella società.

Un po’ a sorpresa il Rapporto promuove non solo l’autonomia delle scuole per quanto riguarda la scelta dei docenti, “non è un ostacolo all’equità nell’accesso ad un insegnamento di qualità, contrariamente a quello che si potrebbe temere”; ma anche l’aumento, in parallelo, delle responsabilità dei capi di istituto (in qualche modo sulla linea della riforma della Buona Scuola italiana), “che possono svolgere, se preparati per questo compito, un ruolo importante per attrarre, accompagnare, e formare docenti che rispondono alle esigenze della realtà educativa locale”.

Lo studio raccomanda quindi di creare le condizioni che permettano veramente di attrarre insegnanti qualificati e efficaci nelle scuole più “difficili” proprio perchè i divari tra gli studenti sono in gran parte dovuti alla diversa qualità della docenza. Gli studenti con status socio-economico svantaggiato, inoltre, hanno più spesso, rispetto ai loro coetanei più fortunati, insegnanti precari o con minore anzianità di servizio.

Questo divario tende ad essere ampio non solo in Italia, ma anche in Francia, Paesi Bassi, e nel sistema scolastico pubblico degli Stati Uniti mentre in Paesi come Canada, Finlandia, Giappone o Corea, le qualifiche, le credenziali e l’esperienza degli insegnanti sono più equilibrate tra le scuole.

Il neoministro dell’Istruzione Marco Bussetti, ad una delle sue prime uscite pubbliche, si è detto “consapevole dell’importanza” dei suoi compiti, e si è impegnato a risolvere le criticità che si presenteranno e a trovare le strategie più idonee al passa con i tempi. “In questo processo – ha sottolineato – saranno impegnate tutte le componenti della scuola; se vogliamo inaugurare il rilancio serve un impegno che coinvolga tutta l’Italia”.

Rispondendo ai cronisti, il titolare del Miur ha detto che la Buona Scuola verrà migliorata, che verrà affrontato il tema delle paritarie come quello delle maestre diplomate che rischiano il posto dopo la sentenza del Consiglio di Stato del dicembre scorso, e, quanto ai cellulari in classe, se esistono i regolamenti d’istituto che rientrano nell’autonomia didattica, è pur vero che la legge appena approvata in Francia che li vieta “è una opportunità per riflettere sull’uso consapevole dei telefonini in classe: ben venga”.

(di Valentina Roncati/ANSA)

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