Migranti, Salvini: “In Libia centri umani”. Unhcr: “Falso”

Profughi "allineati e coperti" nel campo di Gharyan
Un'immagine del campo di Gharyan

ROMA. – I centri per migranti in Libia non sono lager dove si tortura e si ledono i diritti umani. Anzi, hanno cliniche, centri sportivi e assistenza psicologica ed è presente l’Unhcr. Parola del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che lunedì a Tripoli ha visitato una di queste strutture “gioiello”.

Ma dall’Agenzia delle Nazioni Unite – presente in Libia con propri team – precisano: quello visionato dal ministro è un caso isolato, nel Paese nordafricano i migranti vengono rinchiusi in centri di detenzione le cui condizioni sono state definite “scioccanti” dall’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi.

“Il centro dove è stato Salvini accompagnato dalle autorità libiche – puntualizza all’ANSA la portavoce dell’Unhcr, Carlotta Sami – esiste anche grazie ai Paesi europei che lo sostengono, ma è una goccia in un mare di disperazione, una struttura di transito e partenza per persone vulnerabili (minori soli, malati anziani, donne a rischio) che sarà aperta a breve, riservata solo a persone che abbiamo liberato dai centri di detenzione. E non le riportiamo a casa, ma le trasferiamo in Paesi sicuri attraverso corridoi umanitari. “.

Vicino al nuovo ‘Gathering and departure facility’ della Capitale c’è anche un centro di detenzione, che però non è stato fatto visitare al ministro. E proprio carcere è la vera realtà per i migranti in Libia. Perchè nell’ex Paese di Gheddafi, ricorda Sami, “l’immigrazione illegale è un reato punito con la reclusione a tempo indefinito ed i lavori forzati. E’ il destino che spetta a chi viene riportato a terra dai barconi: prima nei punti di sbarco, dove noi forniamo a assistenza medica, poi nei centri di detenzione”.

Quelli ufficiali che risultano all’Onu sono 34, ma diversi che aprono e chiudono. Un altro problema, rileva la portavoce, “è che la Libia riconosce il diritto di chiedere asilo solo a sette nazionalità, tutti gli altri rimangono in detenzione”.

E le condizioni di questi centri, sottolinea, “continuano a rimanere molto preoccupanti. Noi chiediamo sempre la liberazione delle persone che i libici ci consentono di inserire nella lista dei rifugiati”. In questi centri i team dell’Alto commissariato Onu entrano – dopo l’autorizzazione delle autorità libiche – per dare assistenza ed individuare le persone più vulnerabili da evacuare. Nel 2017, spiega Sami, “siamo riusciti a portar via 1.428 persone e in quesvini, UHCRvinita prima metà del 2018 siamo a 1.396”.

Quella di allestire campi a sud della Libia, per la portavoce Unhcr, “non è una soluzione. Paesi come Niger o Ciad non possono diventare contenitori dove tenere in un limbo indefinito i rifugiati, che devono invece avere l’accesso all’asilo.

(di Massimo Nesticò/ANSA)