Messico al voto per chiedere la fine della violenza

Messico. Una manifestazione di protesta delle donne messicane contro la violenza, portando croci di legno.
Messico: oltre 250.000 morti in 12 anni, ma poche ricette per la sicurezza

CITTA’ DEL MESSICO. – Alla vigilia delle elezioni più grandi della storia messicana in cui si rinnoveranno domenica le cariche più importanti – presidente, governatori degli Stati, Parlamento e sindaci delle città – la società Etellekt ha pubblicato il suo sesto rapporto sulla violenza politica in Messico nel 2018, da cui emerge che in campagna elettorale sono stati uccisi 133 uomini politici e 50 loro famigliari.

L’attesa per l’appuntamento di domenica in cui 90 milioni di messicani sceglieranno fra quattro candidati il successore del presidente Enrique Peña Nieto è alle stelle. I sondaggisti hanno da tempo espresso il loro verdetto incoronando il candidato di centro-sinistra, Andrés Manuel López Obrador, leader del movimento Morena, al terzo tentativo di insediarsi nella massima carica dello Stato.

Comunque gli elettori hanno a disposizione una pausa di riflessione di tre giorni prima dell’apertura dei seggi, per scegliere il candidato secondo loro capace di mettere fine all’irrefrenabile ondata violenta che ha visto negli ultimi mesi il Messico strappare alla Siria il non invidiabile primato di zona di maggiore violenza del mondo in termini di vittime civili.

Oltre a López Obrador, ‘Amlo’ per i suoi militanti, a cui l’ultimo sondaggio del quotidiano Reforma ha attribuito un gradimento del 52%, hanno chiesto il consenso dell’elettorato Ricardo Anaya (27%), che guida una coalizione fra il Partito Azione nazionale (Pan, destra) e la sinistra del Partito della rivoluzione democratica (Prd); José Antonio Meade (19%) del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), e Jaime Rodríguez (3%), candidato indipendente.

Ma pur se tutti sono d’accordo che sia proprio il dramma di una cieca violenza la preoccupazione principale dell’elettorato, dalla campagna dei candidati, e neppure da quella del favorito leader del movimento Morena, sono arrivate proposte davvero concrete per arginare il fiume di sangue che invade da almeno undici anni gli Stati e le città messicani.

In base alle statistiche ufficiali, e sono cifre minime, almeno 250.547 persone sono state uccise nei differenti Stati messicani fra il 2006 ed il 2018. Si tratta di una vera e propria crisi umanitaria, frutto di attività legate principalmente al narcotraffico e alla corruzione di ogni tipo, che è costata la vita ad una media di 80 persone al giorno.

Ed è per questo che non sorprende il fatto che le associazioni per la difesa dei diritti umani abbiano denunciato l’esistenza in Messico di circa 35.000 desaparecidos e di 30.000 cadaveri che non hanno potuto essere identificati. Tutto ciò nonostante che già nel lontano 2006 il presidente Felipe Calderón avesse deciso di militarizzare l’ordine pubblico facendo scendere l’esercito nelle strade. Ma la misura non ha impedito l’espansione della violenza, divenuta oggi dilagante.

Alejandro Hope, esperto di problemi della sicurezza, aveva previsto che in campagna elettorale questo tema sarebbe stato trascurato, e ne aveva anche spiegato la ragione. L'”allergia” ad affrontare il tema chiave della società messicana, aveva detto, risiede nel fatto che è “difficile, se non impossibile, per i candidati che cercano consensi assegnare colpe di quanto accade”. Perché ciò implicherebbe “puntare l’indice contro settori, anche istituzionali, molto importanti, creando imprevedibili reazioni” capaci di incidere sulle scelte dell’elettorato.

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