Facebook, prima multa per scandalo Cambridge Analytica

Il presidente di Cambridge Analytica spiegando come funzionava l'impresa ad un gruppo di imprenditori.
Cambridge Analytica e il furto di dati: “Così influenzavano le elezioni”

LONDRA. – Per il portafogli di Mark Zuckerberg è una mancetta o poco più. Ma per Facebook, e quel che resta della sua reputazione, è uno schiaffone sonoro. Scatta la prima multa nei confronti del tentacolare social network americano per il caso Cambridge Analytica: la società di consulenza accusata d’aver rastrellato, anche a scopi di propaganda politica ed elettorale, i dati di 87 milioni di utenti del gigante di Menlo Park sparsi in giro per il mondo.

Ad annunciarla è stata l’autorità britannica per la privacy e la protezione dei dati personali (Information Commissioner’s Office, Ico) che ha preparato un conto da circa 500.000 sterline (oltre 565.000 euro). Si tratta del massimo previsto dalla vecchia normativa in vigore nel Regno all’epoca dei fatti.

In cifra assoluta una penalità modesta “per una contravvenzione così grave”, ammette a radio Bbc 4 Elizabeth Denham, responsabile dell’Ico, sottolineando come la nuova legge potrebbe permettere d’infliggere ammende pari a decine se non centinaia di milioni di sterline.

In ogni caso un (altro) brutto colpo d’immagine. Facebook – già multata nel 2017 dall’Ue per differenti ragioni per oltre 90 milioni – viene di fatto riconosciuta colpevole dall’authority di omesso controllo, per non aver vigilato sull’effettiva cancellazione dei dati che aveva consentito a Cambridge Analytica di raccogliere.

L’Ico di regola non comunica i propri atti, ma in questo caso ha voluto anticipare platealmente quanto deciso a mezzo stampa per dare un segnale, un messaggio esemplare. A Facebook, sulla base degli approfondimenti condotti, viene contestato di non aver protetto adeguatamente la privacy degli utenti e d’aver dato prova di scarsa trasparenza sulla vicende. Mentre le giustificazioni di Zuckerberg vengono liquidate alla stregua dell’esibizione di “un cattivo attore”.

Il controverso Chris Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica e gola profonda dello scandalo, accoglie da parte sua il verdetto come una rivincita. “Mi hanno dato del bugiardo e invece tutti hanno violato la legge”, commenta, tornando a tirare in ballo anche le piattaforme pro Brexit e l’ex capo stratega della campagna presidenziale di Donald Trump, Steve Bannon, che a suo dire si sarebbero giovati dell’uso di quei dati.

Mentre Facebook si limita di nuovo a un mezzo mea culpa: “Come abbiamo già detto, avremmo dovuto fare di più per indagare sulle richieste di Cambridge Analytica e prendere provvedimenti nel 2015”, concede Erin Egan, responsabile della privacy, giurando tuttavia sulla volontà di collaborazione dell’azienda con l’authority e riservandosi risposte dettagliate solo dopo la pubblicazione del dispositivo completo.

L’Ico intanto va avanti e fa sapere di voler segnalare alla magistratura britannica, per l’eventuale apertura di fascicoli penali, la posizione della stessa Cambridge Analytica e della sua non meno opaca capogruppo Scl Elections. Entrambe avviate verso la bancarotta dopo l’apertura nei mesi scorsi delle procedure fallimentari nel Regno Unito e negli Usa, sedi di quelle che furono le loro principali basi operative. E in attesa, magari, di riciclarsi sotto altro nome.

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