An, 12 trimestri di recessione e contrazione del Pib del 42 per cento

Una industria
L’Assemblea Nazionale attribuisce la crisi alle politiche del governo - leggasi eccesso di controlli - e alla contrazione della produzione di greggio.

CARACAS – 12 trimestri di recessione, una contrazione del Prodotto Interno Lordo del 42 per cento. Cifre paragonabili solo alla Grande Depressione del 1870. E, in tempi recenti, solo Liberia, nel 1980, e Taykistán, nel 1991, sono riusciti a far peggio. Il Venezuela vive la sua peggior crisi istituzionale, economica e sociale della sua storia. In America Latina, non vi sono precedenti.

L’Assemblea Nazionale attribuisce la crisi alle politiche del governo – leggasi eccesso di controlli – e alla contrazione della produzione di greggio. Oggi, stando alla Opec, come segnala il deputato José Guerra, il Venezuela produce appena 1,3 milioni di barili al giorno. E’ il livello più basso in 60 anni di storia petrolifera venezuelana.

– Ormai – ha confermato l’economista e parlamentare Angel Alvarado – i venezuelani non hanno denaro per soddisfare le proprie necessità. Lo stipendio non è sufficiente ad acquistare generi alimentari e medicine. E’ evidente che si è in presenza di un importante processo di denutrizione. Lo vivono non solo gli adulti ma anche i bambini. Le conseguenze sono perdita di peso ma anche problemi di concentrazione. E’ una generazione completa che soffre le conseguenze della crisi.

Troppi controlli

Il presidente di Conindustria, Juan Pablo Olalquiaga, da sempre critico delle politiche governative, coincide nel segnalare che i controlli hanno conseguenze negative nell’economia del Paese. A questi, poi, debe sommarsi la riduzione della produzione petrolifera. Ma, stando al leader degli industriali, non sono le uniche ragioni. Segnala che anche i continui attacchi alla proprietà privata, che creano un clima contrario agli investimenti, e l’inflazione, che provoca la contrazione della domanda, intervengono negativamente nello sviluppo del Paese.

– Oggi i consumatori non hanno potere d’acquisto – ha sottolineato il presidente di Conindustria -. Chi produce non ha possibilità di collocare i propri prodotti perché non c’è chi li acquista. E’ questo un vortice distruttivo accelerato che vive il Paese.

Importare invece di produrre

Olalquiada si lamenta della politica d’importazione del governo, che non permette ai produttori locali di competere in condizioni d’uguaglianza. La politica  del controllo dei cambi, a suo avviso, ha frenato artificialmente la svalutazione reale della moneta. E, così, ha reso più economico importare che produrre nel paese. 

Ha quindi sottolineato che quando il governo restringe l’accesso alla valuta pregiata, per l’importazione delle materie prime indispensabili per la produzione di alimenti, beni e medicine, non ti permette di operare. Da qui che, stando ai calcoli di Confindustria, oggi esiste appena il 10 per cento della capacità produttiva che esisteva nel 1998.

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