La lezione di Marcinelle

Una foto d'epoca della zona della miniera di Marcinelle nel momento del disastro.
Marcinelle, per non dimenticare

Una ricorrenza segnata dalla polemica. Il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha ricordato la tragedia di Marcinelle. Lo ha fatto sottolineando soprattutto che “rappresenta la memoria del nostro Paese”. E che non bisogna mai dimenticare che “siamo stati una nazione di emigranti, siamo andati stranieri nel mondo in cerca di lavoro”. Quindi che «oggi, di fronte alle sfide dell’emigrazione, non dobbiamo dimenticare queste tragedie del passato che fanno parte di noi stessi».  Immediata la reazione delle frange più xenofobe e razziste che purtroppo ancora annidano nel nostro Paese. Il nuovo anniversario della tragedia di Marcinelle, dove morirono 262 minatori di cui 136 italiani, diventa così un “caso politico”.

Purtroppo, troppo spesso si parla senza sapere; si commenta senza conoscere; si critica senza rispetto. Qualunque occasione è buona per condannare l’arrivo dei disperati che approdano nei lidi italiani. E si fanno differenze proprio lì dove le differenze non esistono. L’emigrazione odierna non è diversa da quella che ieri ha segnato la vita di migliaia e migliaia di italiani.

Nessuno vuole emigrare, lasciare la propria terra, separarsi dagli affetti più cari senza avere la certezza di poterli riabbracciare. Emigrare è un salto nel buio. Rappresenta una ferita anche quando si approda in una nazione che ti accoglie con calore, che ti offre un lavoro e ti permette di costruire quel futuro che nella Madrepatria era impossibile. Lavoro, pace, prosperità. Ma la nostalgia non ti abbandona mai. Passano gli anni, ci s’integra, si costruisce una famiglia, nascono i figli e poi i nipoti, ma quella terra che hai lasciato non si dimentica. Mai. E’ questa la vera tragedia dell’emigrazione.

Gli italiani che emigrarono erano povera gente. Proprio come lo sono gli extracomunitari che sfidano il Mediterraneo a bordo dei “barconi della morte”. Erano quasi tutti brava gente, per lo più contadini analfabeti, operai, braccianti, artigiani. Pochi i professionisti, i laureati, gli artisti. Tra le centinaia di migliaia di persone che sono partite dall’Italia durante un secolo, c’è stato anche chi, invece di impegnarsi in lavori onesti, ha preferito il cammino della malavita. Soprattutto negli Stati Uniti dove, anche a seguito del profondo rifiuto di cui erano oggetto, gli italiani hanno creato una rete mafiosa ricca e potente. Ma continuano ad essere eccezioni che nulla tolgono all’immagine di un’italianità che, in ogni angolo del mondo, è fonte di rispetto e rappresenta un valore aggiunto per l’Italia, un patrimonio di cui andare orgogliosi. I connazionali all’estero hanno costruito il proprio futuro su valori come l’onestà, il lavoro, l’amicizia, l’educazione, valori che si tramandano di generazione in generazione.

Quasi mai i nostri emigrati sono stati accolti con le braccia aperte. Gli episodi di xenofobia nei loro confronti andavano dall’insulto personale al pogrom. Paura, diffidenza, quando non ostilità ha segnato la vita delle prime generazioni. Nessuno può né deve dimenticare quei cartelli che in Svizzera o in Austria proibivano l’accesso “ai cani e agli italiani”, né quella generazione di bambini che è dovuta crescere “in silenzio” perché nessuno doveva sapere della loro esistenza.

Quel muro si è abbattuto poco a poco. È stato demolito da quei piccoli grandi gesti quotidiani che hanno contribuito a rendere grandi i paesi che hanno ospitato le nostre comunità. È la storia di tutte le emigrazioni, di tutte quelle persone che scappano da tragedie causate da altri, dai “potenti” nazionali e internazionali che decidono le guerre, che contaminano le terre, che non combattono il riscaldamento globale. Sono persone umili che possono solo sognare di raggiungere un luogo in cui poter ricominciare.

Commemorare la Tragedia di Marcinelle, la “Giornata del sacrificio Italiano nel Mondo”, oggi, non è solo rendere omaggio a tutti gli emigrati morti all’estero. Non è solo rievocare un triste, doloroso, capitolo della nostra storia. E’, più che mai, prendere coscienza che, in pieno secolo XXI, ancora vi è chi fugge dalla fame e dalla guerra. E a loro è dovuta quella solidarietà che tante volte è venuta a mancare ai nostri nonni e ai nostri padri.

Mauro e Mariza Bafile