Caporalato anche in Veneto: truffe certificati, sei arresti

Migranti protestano per strada.
Migranti protestano per strada. ANSA/PRIMA PAGINA

VERONA. – Tutti ‘abili’ al lavoro, anche se molti di quei braccianti non li aveva nemmeno mai visti, anche se erano privi di permesso di soggiorno. Bastava pagare il medico giusto, compiacente, che per 50 euro trasformava un immigrato senza volto in un lavoratore in ‘regola’, da mandare sui campi.

Il ‘caporalato’ non esiste solo nelle campagne del Sud. C’è anche al Nord, in Veneto, grazie a cooperative senza scrupoli e a medici che per il denaro facevano girare la ruota dello sfruttamento della manodopera. E c’è anche in Piemonte, a Cuneo, dove i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro (Nil) hanno scoperto che un’azienda agricola di Peveragno si serviva di diciassette lavoratori in nero, tra i quali quattro minorenni e una quindicenne. La titolare, una donna di 57 anni, è stata denunciata.

Ma l’indagine più corposa, il giorno dopo il corteo dei “berretti rossi” a Foggia, arriva da Verona. Anche qui migranti africani sfruttati per pochi euro, pronti al silenzio pur di tornare al lavoro il giorno dopo. La Guardia di Finanza ha concluso con sei arresti, eseguiti all’alba, una lunga investigazione sul caporalato, con al centro una cooperativa di Soave il cui responsabile era già finito in carcere, ed ora è già a giudizio.

Tutto iniziato dagli accertamenti sull’incidente ad un mini-van della coop, nel novembre 2017 sull’autostrada A13 Padova-Bologna, nel quale era morto un lavoratore marocchino e altri 11 erano rimasti feriti. Il sospetto che dietro ci fosse una qualche forma di sfruttamento ha fatto puntare i riflettori sul responsabile della coop – anch’egli coinvolto nello schianto -, un marocchino stabilmente residente nell’est veronese, gestore di altre strutture simili.

Mai però i finanzieri si sarebbero aspettati, oltre ad alzare il velo sulle irregolarità nel lavoro, di individuare anche una truffa più ampia ai danni dello Stato: un sistema retto da un 78enne di San Bonifacio (Verona), Alfio Lanzafame, medico in pensione ma ancora in attività, conosciuto per essere un ‘aggiustatore’ di certificati sanitari di ogni tipo.

Così la Procura di Verona si è trovata ad indagare un’altra cinquantina di persone, anziani, loro accompagnatori e due collaboratori-‘factotum’ di Lanzafame, e due funzionari dell’Inps, che aiutavano falsi invalidi ad ottenere punteggi utili per aver pensioni speciali e indennità di accompagnamento. C’era chi, dietro consiglio del medico, si presentava davanti alla Commissione Inps in carrozzina, salvo poi tornare a casa con le proprie gambe. Tutti episodi filmati e documentati dalle ‘fiamme gialle’.

Nell’indagine, raggiunto da una misura cautelare ai domiciliari, è finito anche un finanziere della tenenza di Soave – la stessa che ha avviato gli accertamenti – per un certificato di malattia che l’ha fatto restare a casa per un mese. Se per i certificati per truffare l’Inps servivano anche 200 euro, per quelli che rendevano ‘abili’ al raccolto sui campi o al lavoro negli allevamenti di pollame colpiti dall’aviaria bastavano 50 euro. Nel sistema che saldava assieme il medico infedele e il ‘caporale’ marocchino non cadevano solo migranti irregolari, ma anche anche italiani, assunti in ‘nero’.

 

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