Genova, cronaca di un’Italia che sta cadendo a pezzi

Genova: il Ponte Morandi sospeso nel vuoto.
Genova: il Ponte Morandi sospeso nel vuoto. REUTERS/Stefano Rellandini

Il 14 Agosto, l’Italia è stata scossa dall’ennesima tragedia: un crollo improvviso del Ponte Morandi, a Genova, ha provocato 39 vittime, 16 feriti e tanti dispersi. Le cause sono molteplici, ma molti imputano il crollo alla debolezza di uno dei tre piloni di 90 metri che sorreggono la struttura.

La tragedia di Genova, è solo l’ultima della serie nel corso del tempo: l’Italia, è famosa per problemi dovuti alla inadeguatezza delle infrastrutture, malandate e abbandonate a se stesse. Un problema che nel corso degli anni ha provocato crolli di ponti e di cavalcavia in autostrada. Secondo alcuni dati statistici in Italia si verificano due crolli l’anno, una media da Paese del Terzo mondo. Infatti, secondo uno studio di Confesercenti Infrastrutture, l’Italia è all’82esimo posto per investimenti nel settore, alcuni gradini sotto il Kenya.

La tragedia del Ponte Morandi ha provocato una reazione a catena all’interno dell’opinione pubblica: tutti hanno posto sotto la luce dei riflettori i problemi di molte altre infrastrutture, circa 300, che solcano la penisola intera. Secondo alcuni autorevoli ingegneri impegnati nella manutenzione dei ponti e dei cavalcavia, molte infrastrutture sono a “rischio uno”, il livello più alto, e se non verranno operati degli interventi, tragedie come quelle di Genova si ripeteranno con ritmo annuale.

Un avvertimento che suona come una sentenza, se davvero la classe dirigente non si adopererà ad investire in un settore che nel nostro Paese è fermo agli anni ’60 (il Ponte Morandi è stato costruito nel 1967 ed è il gemello del ponte General Rafael Urdaneta costruito negli stessi anni nel Venezuela dallo stesso architetto Riccardo Morandi). Molti sono stati i piani di ristrutturazione di modernizzazione delle infrastrutture presentati nel corso degli anni ma i vari ostacoli, sia burocratici che economici, hanno ostacolato tutte le buone intenzioni dei costruttori. Un atteggiamento rinunciatario che ha provocato una serie di crolli da Nord a Sud (soprattutto in Sicilia) che non hanno minimamente preoccupato la classe dirigente, anzi.

I vertici governativi si sono attivati per muovere delle accuse alla società Autostrade per l’Italia, della famiglia Benetton, responsabile per il tratto di strada su cui si trovava il ponte crollato. Accuse che hanno riportato in auge il problema delle privatizzazioni delle concessioni autostradali, un sistema con cui dalla fine degli anni ’90 venne affidata ai privati gran parte della gestione della rete autostradale italiana. Una corbelleria che ha permesso a gestori improvvisati l’arricchimento personale e la libera noncuranza della rete autostradale (allo stato va soltanto un piccolo “canone”). Ecco perché il Ministro Toninelli, con il Presidente Conte e l’immancabile Ministro Salvini, hanno inveito contro la famiglia Benetton e i vertici della società autostradale, invocando la fine di questa scellerata privatizzazione. Ovviamente la nascita di tale pratica è da collegare alla fine dell’IRI e all’aumento del debito pubblico che ha reso impossibile la gestione, gli investimenti e l’ammodernamento dell’impianto autostradale italiano.

Inutile dire che i privati si preoccupano soltanto del proprio tornaconto personale e non della gestione e della cura del tratto autostradale italiano (Benetton, attraverso la “succursale” Atlantia, controlla 3.000 km di autostrada su 7.000 km totali in Italia), infatti anche sul Ponte Morandi il dibattito di ammodernamento della struttura è apertissimo. Si era parlato di un progetto che avrebbe alleggerito il traffico su questo ponte malandato che non riusciva più a soddisfare le esigenze di traffico (code comprese). Questo progetto, denominato “La Gronda”,  avrebbe dovuto incanalare il traffico che da nord e da ovest di Genova si sposta ad est, dal ponte su un’altra strada, costruita ad hoc. Il progetto aveva l’obiettivo di “pensionare dignitosamente” il Ponte Morandi, non più esposto al traffico sfiancante bensì usato solo per “circolazione ordinaria”. Inoltre, il progetto prevedeva lo scavo di numerose gallerie e nuovi viadotti, tutti con l’obiettivo di incanalare il traffico e diminuire le code autostradali anche per motivi ambientali.

Purtroppo così non è stato, nonostante questa serie di progetti abbiano trovato il favore dell’opinione pubblica. Queste “buone intenzioni” hanno trovato l’opposizione di un gruppo di attivisti, i “No-gronda”, a loro volta sostenuti da consiglieri locali del Movimento Cinque Stelle. Il progetto, del 2009, avrebbe visto la luce in questi anni, per terminare nel 2029.

Le principali indagini, ora, oltre ad accertare l’entità del danno e i responsabili, hanno ritenuto fosse opportuno chiarire se questo Ponte era già da tempo in stato di pericolo. Ovviamente, la società Autostrade per l’Italia, responsabile di quel tratto, afferma di no e dice che su quella strada si stavano eseguendo lavori di manutenzione. Dunque, il crollo era imprevedibile. Alcuni docenti di Ingegneria dell’Università di Genova, così come la maggior parte della popolazione genovese che quotidianamente attraversa quel tratto di strada, ritengono che il Ponte Morandi fosse già in condizioni critiche prima del crollo. Secondo i docenti universitari il ponte andava chiuso da tempo, poiché non era più in grado di reggere l’aumento continuo del flusso di traffico che quotidianamente attraversava il mastodontico ponte genovese.

E non è tutto qui! Gli ingegneri più esperti rincarano la dose dicendo che il famoso ponte dell’architetto romano era stato costruito male, con tecniche e materiali sbagliati (basti pensare che la decisione di utilizzare nella costruzione degli stralli– parti sospese del ponte a cui si collegano i fili – il cemento armato precompresso e non il tradizionale acciaio si rivelò già problematica nel 1967), che richiedevano una manutenzione costosa e costante, ma comunque insufficiente per garantirne la tutela.

Allarmante è anche la situazione relativa ai fondi da investire nel settore. Gli esperti sono generalmente d’accordo che le precedenti 300 strutture in pericolo, nel giro di pochi anni potrebbero aumentare vertiginosamente. Da alcuni anni a questa parte i soldi investiti nel settore sono insufficienti anche perché i costi di manutenzione di strutture obsolete, spesso e volentieri, superano quelli di costruzione di viadotti e ponti moderni e sicuri.

Il problema però è che i materiali usati in Italia, tra cui il calcestruzzo armato, suscitano molti dubbi relativi alla tenuta e al logoramento.

Per quanto riguarda le opere di nuova costruzione, in media, un’opera pubblica per “nascere” ci mette circa 4 anni, di cui 2 e mezzo di burocrazia.

“Praticamente in un ufficio si gioca con la vita delle persone: mentre si compilano carte su carte, migliaia di vite umane circolano su un ponte malandato.” 

Le soluzioni al problema delle infrastrutture sono molteplici e la classe dirigente è la prima responsabile di questi crolli, con la totale noncuranza e scelleratezza che da sempre la caratterizza. Gli investimenti nel settore non sono incoraggianti, le privatizzazioni che lasciano nelle mani di singoli uomini assetati di potere e denaro le opere pubbliche di un Paese, nemmeno. Un settore fermo dagli anni ’60 ha bisogno di soluzioni concrete, sincere e sostenibili, non di promesse, liti di partito e propagande vuote e pompose. Un primo passo sarebbero le dimissioni dei vertici della società responsabile di quel tratto di strada, un gesto con cui si vuol comunicare l’ammissione della colpa. In secundis, un vertice straordinario del Governo, per decidere e poi proporre al Parlamento un piano d’emergenza per le infrastrutture.

Ovviamente, questo sarebbe solo l’inizio di un percorso lungo e difficoltoso, poiché recuperare circa sessant’anni di stagnazione nel settore delle infrastrutture è molto difficile, ma non impossibile. In questi casi conta molto la volontà ferrea di un cambiamento e questo, vuole essere un messaggio che funge da monito alla classe dirigente, nella speranza che tragedie del genere, capitate per la noncuranza dell’uomo, non capitino più.

Un abbraccio alle famiglie delle vittime e alla popolazione genovese.

Donatello D’Andrea