Dipendenti Google contro il motore di ricerca per Cina

Una persona camminando all'entrata dell'ufficio di Google.
L'entrata dell'ufficio Google. FOTO EPA/BORIS ROESSLER

WASHINGTON. – Circa 1.400 firme: è la protesta dei dipendenti di Google montata per settimane e ora concretizzatasi in una lettera in cui si manifestano a chiare lettere i timori per la messa a punto di un motore di ricerca per la Cina, considerato una resa di fatto alle pratiche di censura volute da Pechino. Un richiamo forte ai dirigenti affinché si rivedano i criteri etici e di trasparenza nelle politiche aziendali.

A lanciare l’allarme sono le notizie che circolano su ‘Dragonfly’, il progetto cui starebbe lavorando Google da circa un anno, stando alle recenti rivelazioni di Intercept, con una accelerazione a dicembre scorso quando l’amministratore delegato di Mountain View, Sundar Pichai, volò a Pechino per incontrare esponenti del governo.

Secondo The Intercept, ci sarebbe un team di ingegneri e programmatori al lavoro su un’applicazione destinata ai dispositivi Android già mostrata al governo cinese. Se approvata, potrebbe essere lanciata nei prossimi sei-nove mesi.

Pubblicamente Google si limita a spiegare di aver già investito in quel mercato, e allo stesso tempo cerca di rassicurare. Lo stesso Pichai è tornato a parlarne nelle scorse ore a Mountain View dove ha detto che l’azienda “non è vicina a lanciare un prodotto di ricerca”, ma “a difendere la spinta in Cina”.

Una rassicurazione resasi necessaria dall’ondata di critiche e malcontento che covava da settimane culminando adesso nella lettera che di fatto chiede esplicite garanzie. I firmatari lamentano la mancanza di informazioni fornite agli impiegati affinché questi possano “fare le loro scelte etiche nell’ambito del loro lavoro”, e che la notizia del progetto ‘Dragonfly’ sia giunta loro attraverso i media.

La lettera ricalca quella scritta contro il progetto Maven, un contratto militare con gli Stati Uniti che Google ha poi deciso nel giugno scorso di non rinnovare proprio in seguito all’ondata di ‘attivismo interno’ che evidentemente la dirigenza dell’azienda – che agli esordi aveva come biglietto da visita il motto ‘Don’t be evil’ – non può più ignorare.

“Serve più trasparenza, un posto al tavolo e un impegno a processi chiari e aperti: i dipendenti di Google devono sapere cosa stanno costruendo”, si legge nella lettera, in cui si chiede che Google conceda ai dipendenti di partecipare a verifiche etiche sui prodotti, oltre a nominare rappresentanti esterni per garantire trasparenza e la pubblicazione di valutazioni etiche di progetti considerati controversi.