Trump avverte: “Rischio violenza se vincono i democratici”

Donald Trump con l'ex marine James Mattis a capo del Pentagono.
Donald Trump con l'ex marine James Mattis a capo del Pentagono.

WASHINGTON. – E’ ancora caldo record a Washington ma il presidente Donald Trump guarda già all’autunno, alle elezioni di midterm per il rinnovo del Congresso che potrebbero cambiare gli equilibri a Capitol Hill. Un test per il quale mobilita la sua base e lancia un monito: “Si rischia la violenza se vincono i democratici”.

Mentre prende provvedimenti su altri fronti annunciando che – in autunno appunto- il consigliere legale della Casa Bianca, Don McGahn, lascerà l’incarico. Nella notte un’altra conferma, nelle primarie in Arizona e Florida, di un ‘effetto Trump’ che continua a farla da padrone nei risultati delle nomine repubblicane (a parte la sconfitta dello ‘sceriffo d’America’, il controverso Joe Arpaio, sostenitore della prima ora del tycoon e che il presidente ha anche graziato l’anno scorso).

In Florida il Grand Old Party sceglie Ron DeSantis, il candidato appoggiato da Trump, per la corsa alla carica di governatore dello Stato, mentre il governatore uscente Rick Scott ha vinto facilmente le primarie repubblicane per un seggio al Senato. A novembre DeSantis dovrà vedersela contro il democratico Andrew Gillum, primo afroamericano candidato governatore nel terzo più popoloso stato degli Usa e possibile astro nascente dell’ala più liberal del Partito democratico.

In Arizona intanto, la deputata repubblicana Martha McSally correrà per un seggio al Senato: esponente dell’establishment Gop ma che aveva preso le distanze dal critico e appena scomparso John McCain abbracciando Trump, ha sconfitto la più conservatrice ex senatrice Kelli Ward e l’ex sceriffo della Contea di Maricopa Joe Arpaio.

Trump si congratula: “Il Partito repubblicano farà l’America di nuovo grande”, twitta. Ma nelle scorse ore aveva manifestato qualche timore e, rivolgendosi ai leader evangelici, stando ad indiscrezioni di stampa su una riunione a porte chiuse, aveva avvertito che le sue politiche saranno ribaltate “con la violenza” se i democratici vinceranno le elezioni di novembre. “Capovolgeranno tutto ciò che abbiamo fatto e lo faranno in modo rapido e violento. Quando guardi agli ‘Antifa’ (movimenti antifascisti, ndr), queste sono persone violente”.

La campagna elettorale però si incrocia inevitabilmente con inchieste e processi in corso, e soprattutto con il lavoro del procuratore speciale Robert Mueller. Così l’annuncio della partenza del consigliere legale Don McGahn dalla Casa Bianca – ma non prima del voto al Senato per la conferma del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema – fa interrogare sulle strategie del presidente mentre il cerchio attorno a lui sembra stringersi con l’allungarsi della lista di testimoni sentiti dagli inquirenti.

McGahn è una figura chiave nel rapporto tenuto fino ad ora dalla Casa Bianca con Mueller. Nonché fedele collaboratore di Trump fin dalla sua campagna elettorale. Un rapporto che però ha mostrato crepe su snodi delicati: lo scorso anno il New York Times rivelò che McGahn aveva fortemente sconsigliato l’ipotesi di un licenziamento da parte di Trump del procuratore speciale Mueller, affermando che in tale eventualità si sarebbe dimesso.

La tensione sembra adesso montata dopo che lo stesso Mueller ha sentito a più riprese McGahn, per un totale di 30 ore di interrogatorio. Il presidente aveva autorizzato il suo consigliere legale a parlare con gli inquirenti, ma stando ad indiscrezioni di stampa il nervosismo sarebbe montato dopo che Trump ha appreso della durata degli incontri, lamentando soprattutto di non essere stato informato dei contenuti dei colloqui.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)