“Prima gli italiani”. Zanetti: “Giocano i più bravi”

Nella foto Javier Zanetti nelle vesti di dirigente dell'Inter.
Javier Zanetti nelle vesti di dirigente dell'Inter. (AFP PHOTO / MARCO BERTORELLO)

ROMA. – Italiani o no, giovani o meno giovani “in campo gioca chi è più bravo”. Coerente con una vita calcistica trascorsa all’Internazionale (lo dice la parola) di Milano, Javier Zanetti commenta così il “prima gli italiani” del ct azzurro Roberto Mancini, che ieri aveva lanciato l’allarme sul loro scarso utilizzo in Serie A.

Un concetto, quello di Zanetti, subito sposato dall’ex ct azzurro Roberto Donadoni, mentre sulla sponda politica il dibattito aperto da Mancini, che peraltro nella sua ultima esperienza sulla panchina nerazzurra schierava squadre quasi totalmente formate da stranieri, trova alleati nel vice-premier Matteo Salvini (“Serve un limite al numero degli stranieri in campo”) e nel presidente della Lega di B, Mauro Balata (“La nostra mission è l’italianità e la valorizzazione dei giovani”).

“Indipendentemente dalla nazionalità, va premiato il talento”, è il punto di vista dell’ex bandiera nerazzurra: “Dopo la mancata qualificazione al Mondiale occorre fare un lavoro che possa far crescere i giovani italiani, Mancini è certo la persona adatta per questo percorso. Ma in campionato penso che debba essere premiato il talento, in sostanza gioca chi è più bravo”, riconosce Zanetti, 615 partite con la maglia nerazzurra.

“La nazionale italiana – prosegue Zanetti – deve ripartire e per farlo naturalmente ha bisogno dei migliori giocatori giovani. Serve trovare il giusto mix. Siamo tutti contenti poi se ci sono più giocatori italiani bravi che scendono in campo: anche perché questo valorizza il settore giovanile dei club e tutto quello che c’è dietro”.

Un concetto che fa presa anche sull’ex ct Donadoni, secondo cui “bisogna avere un po’ di equilibrio in questi casi. Se si vuole far pensare di far crescere un movimento – dice – non bisogna pensare esclusivamente ai propri interessi. Se sono un allenatore di club devo pensare a far vincere la mia squadra e quindi faccio giocare quelli che ritengo mi diano più garanzie, che siano italiani o stranieri poco importa. Facendo questo è chiaro che la coperta è sempre corta e far crescere un movimento e dei giocatori diventa un po’ complicato”.

Non la pensa così il leader della Lega Matteo Salvini che si dice “felice che anche altri importanti esponenti del mondo del calcio mi diano ragione. Occorre un limite al numero di stranieri in campo per poter dare spazio e fiducia a tanti giovani italiani che altrimenti vengono sacrificati”.

I diretti interessati annuiscono. “Ha ragione Mancini, ci vuole coraggio per mandare in campo i giovani. Stramaccioni lo ebbe quando mi fece esordire a 18 anni con l’Inter”, ha ricordato Marco Benassi dal ritiro di Coverciano. “Al Torino – ha aggiunto il centrocampista viola (già 3 reti in campionato) – stetti due mesi in panchina per una questione di modulo e alla fine della scorsa stagione mi dissero che non c’era più spazio, non so se per un fatto tecnico o di età. Comunque sia decisi allora di cambiare squadra e ho avuto ragione”.

“Di giovani bravi ce ne sono in giro, aspettiamoli”, manda a dire Niccolò Barella, giovane bandiera del Cagliari, che però riconosce che devono essere le nuove leve “a cercare di migliorare sempre di più e alzare il livello, e in giro ce ne sono molti”. Cercato da tante big in estate, Barella ha deciso di restare sull’Isola, una decisione “condivisa con la società. Lì sono a casa mia, è la squadra della mia città e poi devo fare vari step per crescere”.

E anche il presidente della Lega di B, Mauro Balata sta con Mancini e a sostegno della sua tesi: “In queste due giornate il 73,59% dei calciatori in rosa nei club di B è rappresentato da italiani, il 30,32% da U21 e il 44,46% da U23”.

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