La Crisi Libica: In gioco c’è anche il futuro dell’Italia

Il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, durante la "Conferenza Internazionale per la LIbia" del 29 Maggio scorso. Al suo fianco, i due uomini che si contendono il Paese africano: il premier riconosciuto dall'ONU, Fayez al-Sarraj (a sinistra), e il generale Khalifa Haftar, capo delle milizie ribelli (a destra). FOTO ANSA

La crisi libica è soltanto uno dei focolai rivoluzionari che interessa il Nord Africa e, in genere, i Paesi di recente democratizzazione. Ma, in quest’ultimo caso, qualcosa sembrerebbe essere andato storto. Questo perché attorno alla Libia, non c’è soltanto la questione rivoluzionaria ma anche altri interessi che ruotano attorno ai giacimenti di petrolio, gas naturale (il più grande del Mediterraneo) e alle ingerenze esterne, tragiche conseguenze degli interessi economici.

Infatti, domenica scorsa sono evasi circa 400 detenuti da un carcere vicino Tripoli a causa di violenti scontri tra le milizie locali ribelli. Scontri che hanno provocato 47 morti. Inoltre, sono stati lanciati alcuni missili nella capitale, in direzione dei diversi campi profughi nei quartieri meridionali e soprattutto verso l’ambasciata italiana. Fortunatamente non ci sono stati morti, poiché il razzo ha mancato l’obiettivo. Le violenze a Tripoli sono iniziate la settimana scorsa con gli scontri tra le milizie del generale Khalifa Haftar e quelle del Governo legittimo, guidato da Fayez al-Serraj.

Gli scontri hanno provocato l’indignazione internazionale, un tentativo di “far deragliare la transizione democratica dai binari del pacifismo e della solidarietà” e hanno fatto scattare lo stato di emergenza a Tripoli.

Immediata è stata la risposta dell’ONU che ha intimato ai due contendenti di “cessare il fuoco”. Per ora, questa tregua sembrerebbe funzionare, ma si sa che questi pseudo-accordi non durano in eterno soprattutto in una situazione dove la tensione è alta.

La crisi dello Stato Libico ha radici che possono essere direttamente collegate alla fine della dittatura del Colonnello Gheddafi e all’emergere di centinaia di milizie che ancora oggi si dividono il controllo del Paese. Problemi sorti a causa dell’incuria da parte di Stati come la Francia, che ha solamente pensato al proprio tornaconto personale (petrolio), e gli Stati Uniti d’America che con “le primavere arabe”, ha dato vita a focolai rivoluzionari, ingestibili, che difficilmente si piegheranno alla democrazia.

Infatti, oltre le varie tribù, esistono due governi che lottano per imporre la propria egemonia sull’immenso suolo libico: il Governo legittimo di Tripoli (riconosciuto dall’ONU e dalle altre organizzazioni sovranazionali, come l’UE) e un altro Governo, quello di Tobruk, molto potente e che gode dell’appoggio indiretto della Francia, che regolarmente lo rifornisce di armi per continuare la propria lotta. Altro elemento importante è che il Governo legittimo, non gode di un esercito vero e proprio ma di milizie fedeli (“fino a compenso contrario”) che a malapena riescono a controllare quella piccola fetta di territorio sotto la bandiera di Tripoli. Inoltre, come tra parentesi, è totalmente sconsigliato affidarsi a delle milizie che hanno tanto di mercenario, poiché da un momento all’altro potrebbero vendersi al più forte o al miglior offerente.

E’ davvero inquietante il fatto che un Paese democratico come la Francia appoggi, indirettamente, un uomo che può legittimamente essere definito “terrorista”, poiché Haftar, ha attentato contro le istituzioni democratiche, con il fine di sopprimerle e di prendere il potere.

Ed è proprio quello che spera la Francia, nella persona del Presidente Emmanuel Macron, che da un lato si fa portavoce e promotore della pace e della solidarietà, e dall’altro mette a disposizione fondi, armi, viveri e istruttori militari per fomentare la guerra tra Tobruk e Tripoli.

Ma, questa politica estera francese, aggressiva e scorretta, ha radici lontane. Anche i predecessori di Macron, Sarkozy e Hollande, hanno vigliaccamente covato contro il Paese africano e contro gli interessi italiani coinvolti. Infatti, il primo, ha dato il via ad una guerra che, eliminato Gheddafi, ha provocato una crisi senza precedenti sia istituzionale (per la Libia), che migratoria (per l’Italia in primis). Il secondo, mentre da un lato nel 2015 riconosceva come legittimo il Governo di Al-Serraj, dall’altro inviava armi stanziate nella base francese di Benina.

Quali sono gli interessi italiani coinvolti?

Gli interessi nazionali coinvolti, riguardano l’enorme mercato petrolifero dell’ENI, maggiore azienda europea coinvolta con 267mila barili giornalieri esportati (contro i 55mila della Total, francese). L’obiettivo dei francesi è quello di far rendere nullo il trattato italo-libico del 2008 e accaparrarsi quella bella fetta di mercato italiana per arrivare a produrre 400mila barili di greggio giornalieri nel giro di 3 anni.

Un piano che sa di colonialismo vero e proprio, perpetrato ai danni di uno Stato Sovrano che, democratizzato, ora versa in condizioni peggiori di quando era sotto dittatura. La Libia, ad oggi, è un focolaio inesausto di guerra e di tratta di esseri umani.

Non sono tardate ad arrivare le accuse da parte della classe dirigente italiana; Roberto Fico, Presidente della Camera, ha addossato ai francesi la crisi istituzionale libica, facendo riferimento allo scellerato intervento del 2011. Mentre Salvini, Ministro dell’Interno si è detto preoccupato di ciò che sta accadendo in Francia, sottolineando come sia sbagliato anteporre i propri interessi davanti a quelli comuni e generalmente condivisi. Dura, è stata anche la dichiarazione del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che, come Fico, ha fatto riferimento alla scelleratezza dell’intervento Nato di sette anni fa.

Una cosa è sicura: i due maggiori Paesi europei che nutrono interesse verso la Libia, seguono una politica diversa e incompatibile. L’Italia, appoggia il Governo legittimo di Tripoli e intrattiene accordi con le milizie locali per l’estrazione del petrolio, la Francia, invece, appoggia indirettamente l’altra fazione e sta facendo di tutto per fomentare la guerra.

Certamente, se l’Italia dovesse perdere il controllo della situazione in Libia, le conseguenze sarebbero davvero gravi per l’economia e per il fabbisogno energetico nazionale, che in larga parte dipende dal petrolio esportato. Ma ci sarebbero anche conseguenze a livello politico. Questo perché il nostro Paese ne risentirebbe molto a livello di influenza e prestigio internazionale, perdendo il ruolo di guida nel Mediterraneo a discapito della Francia, che da promotrice della pace e della solidarietà, si sta comportando come sovranista e nazionalista. 

Inoltre, ci sarebbe la questione migranti, che non è assolutamente da sottovalutare.

Il tanto decantato Macron, antipopulista per eccellenza, sta facendo gli interessi della propria Nazione, in barba alle dichiarazioni di collaborazione comunitaria. Attraverso accordi segreti e “generose donazioni di armi”, è pronto a scatenare un caos senza limiti pur di portare avanti la sua politica estera che cozza irrimediabilmente con le linee guida, non solo italiane ma europee. Un comportamento che non viene notato dai suoi sostenitori italiani, che lo credono ancora puro come un bambino. 

Un altro indizio che spinge a credere che la Francia voglia tagliare il nostro Paese fuori dall’area del Mediterraneo e soprattutto fuori dalla Libia è quello di aver organizzato, il 29 Maggio scorso, un incontro tra l’inviato ONU, Ghassan Salame, e i leader libici, per organizzare, su pressione francese, delle elezioni il 10 dicembre. Inoltre, già il 24 Luglio dello scorso anno, il Presidente francese aveva organizzato un incontro simile con il fine di delegittimare la persona di Al-Serraj, vicino agli Italiani, per favorire Haftar. Tutti e due gli incontri non hanno visto la partecipazione dell’Italia, nonostante il nostro Paese sia riconosciuto internazionalmente come “Paese guida” delle vicende libiche.

Un ruolo che, anche a causa dell’inettitudine della classe dirigente, di destra e di sinistra, è a forte rischio. Poco, davvero poco, è stato fatto nel corso del tempo per coltivare quell’egemonia che abbiamo sempre esercitato all’interno del bacino del Mediterraneo (a cui andava, non a caso, il soprannome di “mare nostrum”).  L’agenda dei Governi precedenti, conteneva sempre la voce “crisi libica”, ma siamo sempre stati scavalcati o anticipati dagli altri Paesi, proprio perché non c’era un vero e proprio obiettivo politico nella risoluzione della crisi. E questo ha favorito gli altri che, con le idee chiare, hanno agito. Soltanto ora, forse, la classe politica sta comprendendo il serio rischio che, prima o poi, la Francia ci possa sostituire (se non l’ha già fatto). Già da un po’ di tempo, attraverso delle politiche, talvolta scorrette, sta affermando il proprio ruolo dominante all’interno del Mediterraneo (Nord Africa e Paesi Arabi).  Recentemente, con l’incontro Trump-Conte a Washington, il Presidente degli USA, ha ribadito il ruolo di primo piano dell’Italia nella gestione della crisi Libica, ma ciò non basta. Le parole, a quanto pare, non hanno un peso rilevante all’interno delle dispute europee e internazionali.

Infatti, come si evince da questa lunga digressione, il Presidente francese, alle parole ha anteposto i fatti. 

Poi, come se non bastasse, recenti indiscrezioni hanno rivelato l’esistenza di un vero e proprio accordo tra Haftar e Macron, relativo alla fornitura di appoggio diplomatico e internazionale e soprattutto all’invio di istruttori militari e di armi per continuare la rivoluzione. Il tutto si svolge con la complicità del Ministero degli Esteri francese che coccola gli accordi con Roma, Washington e Londra per la risoluzione pacifica della transizione democratica.

Un doppiogiochismo da manuale. Da un lato si finanzia indirettamente, fornendo armi, un uomo pericoloso che attenta contro le istituzioni, dall’altro, invece, si invoca il cessate il fuoco e l’intervento delle organizzazioni sovranazionali.

Per ora non sono tante le soluzioni che potrebbero essere adottate. Dopo la mancata intesa sugli sbarchi e sulla distribuzione dei richiedenti asilo, Italia e Francia, si trovano davanti all’ennesima disputa (indiretta in questo caso), riguardante la difesa degli interessi nazionali. Ma, ancor più grave è la violazione della sovranità di uno Stato Indipendente come la Libia. Infatti, la pressione francese per indire elezioni mentre si finanzia un terrorista, è la lampante dimostrazione di un’ingerenza anti-democratica e pericolosa. La cosa migliore da fare sarebbe quella di lasciare le elezioni e la loro organizzazione alla popolazione autoctona, rispettando il principio di autodeterminazione dei popoli, e incontrarsi (a Roma, il 10 Novembre) per affrontare, con consapevolezza e spirito comunitario, la questione libica.

“Quindi sarebbe opportuno mettere da parte, per una volta, gli interessi egoistici per affrontare una situazione, difficile, che richiede grande spirito umanitario e un grande sforzo collaborativo da parte dell’ONU e dell’Europa intera”.

 

Donatello D’Andrea