Homo Faber, quando Moda è artigianato

Homo Faber, l'entrata della mostra a Venezia
Homo Faber, quando Moda è artigianato

VENEZIA. – La gonna in pelle goffrata dello stilista Dai Rees. L’abito in canapa di Dolce & Gabbana, dove la scritta ”fatto a mano” campeggia in bella vista tra richiami della terra di Sicilia. E poi ancora il Capucci tempestato di piccoli sassolini, le impunture a vista di Martin Margiela Artisanal. O materiali ”poveri” come la rafia che diventa parrucca, tecniche artigianali come il plissé o l’intaglio, manichini realizzati a mano che richiamano i tessuti naturali degli abiti che vestono.

É Fashion Inside and Out / Nelle trame della moda, una delle 16 mostre-percorsi di Homo Faber. Crafting a more human future, il grande evento culturale dedicato ai mestieri d’arte in Europa, che la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship porta dal 14 al 30 settembre alla Fondazione Cini di Venezia.

Firmata dalla guru del fashion curating e co-direttrice del Centre for Fashion Curation dell’University of Arts di Londra, Judith Clark, negli spazi abbandonati dell’ex piscina Gandini, la piccola galleria di abiti e accessori racconta ”il rapporto tra la moda, l’exibition making e il mestiere”.

Al centro, non lo stilista star, ma la sua collaborazione con gli artigiani e la mano in grado di trasformare la materia. ”La collaborazione con l’artigiano può raggiungere vette altissime. Non è un modo per guardare indietro, ma in avanti”, racconta la Clark. Come i due Chanel esposti, disegnati da Karl Lagerfield, con ”più di 300 mila elementi attaccati, in gran parte in legno. Ecco, questa mostra parla di come trasformare un qualcosa in un dettaglio prezioso. Qual è il rapporto tra oggetto e concetto, dove resistono i dialoghi nella Moda e nel fashion curating. Era anche un progetto romantico per ripopolare, seppur solo con manichini, questo spazio”.

Ma la moda è sempre arte? ”La mostra non si pone la domanda – risponde la Clark – Però guarda al valore intrinseco della moda, non come categoria, ma come oggetto. E così ignora in un certo senso il dibattito arte-moda e guarda il vestito un’altra volta”.

(Di Daniela Giammusso/ANSA)

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