Dazi: una guerra ormai irreversibile

Il presidente americano Donald Trump circondato da un gruppo di suoi sostenitori.
Il presidente americano Donald Trump.

ROMA. – La strada è tracciata, sul protezionismo non si torna più indietro e il mondo, sulla corsa ai dazi, finirà per seguire Trump anche dopo Trump. Con il risultato di spaccare la catena globale del valore, la fittissima ragnatela su cui oggi fa perno la grande produzione manifatturiera, con due sfere economiche contrapposte, l’Occidente da una parte, la Cina dall’altra, in un mondo che somiglierà a quello della Guerra Fredda.

Ne è convinto Alberto Forchielli, economista e partner fondatore del fondo Mandarin che segue da vicino le mosse dell’amministrazione Trump e conosce la Cina. “La Cina è fondamentalmente in guerra con l’Occidente, anche se ancora non l’abbiamo capito”, spiega Forchielli al telefono da Bangkok. “L’ingresso della Cina nel Wto ha letteralmente devastato l’hinterland industriale americano”.

E dunque “quella tracciata da Trump è una strada a senso unico, il protezionismo potrà solo aumentare. Non esiste un ritorno al liberismo, è una pura illusione”, dice Forchielli mentre la Cina risponde ai nuovi dazi su 200 miliardi di dollari di export cinese annunciati dal presidente Usa.

La strada è tracciata – secondo Forchielli – perché ormai la capacità competitiva delle imprese asiatiche “è formidabile in termini di costo, tecnologia, supply chain integrata. Fanno tutto, dai missili agli addobbi per Natale, dominano ormai anche la gamma più alta come la robotica, e con un enorme eccesso di capacità produttiva”.

Il perno di questo sbilancio nella produzione globale, con una Cina estremamente aggressiva, sono i 700 miliardi di deficit commerciale statunitense. Era dunque inevitabile che si arrivasse a una reazione come quella di Trump, che mira a ridurre l’influenza della Cina sull’Occidente, a riportare la produzione, soprattutto gli investimenti, in Occidente, e “l’unico modo per farlo sono i dazi, non ce ne è un altro”.

Una specie di guerra globale in cui Trump, e chi lo seguirà alla Casa Bianca, punterà a spaccare la ‘global supply-chain’, la catena globale della produzione che oggi fa sì che il perno della produzione di grandi colossi industriali passi inevitabilmente dall’Asia a dominio cinese. Creando una supply-chain integrata occidentale.

“Si chiudono i due mondi, torniamo alla nuova guerra fredda con due sfere economiche”, dice Forchielli: in concreto, significa che “anziché in Asia le imprese americane compreranno in Messico, torneranno a produrre in West Virginia, quelle europee dovranno chiudere all’Asia magari comprando in Serbia. Un processo lungo ma inesorabile, secondo l’economista: “ci vorranno anni, ma già tanti colossi stanno reinvestendo pesantemente in America come risultato delle politiche di Trump.

E’ un trend che dovrà necessariamente coinvolgere l’Europa convincendo in particolare la riottosa (e fortemente orientata all’export) Germania, che rimane uno dei nodi più difficili: Berlino ha nella Cina il suo partner principale numero uno, con un interscambio di 186,6 miliardi di euro nel 2017, ma allo stesso tempo ha negli Usa il primo importatore di merci tedesche.

“Magari con il prossimo presidente Usa, che non toccherà nulla dell’ impostazione di Trump sul commercio, ma sarà meno eccentrico e più gentile di Trump”. Ma, di fatto, Forchielli ne è convinto, “l’Europa alla fine seguirà, con tutte le difficoltà che ha”.