M5s adombra crisi governo, Conte cerca sponda in Ue

Giuseppe Conte e Giovanni Tria, professori universitari al governo. Juncker
Giuseppe Conte e Giovanni Tria, professori universitari al governo.

ROMA. – Chiedono una sponda a Giuseppe Conte e Matteo Salvini, i Cinque stelle. In “apprensione” per il timore di portare a casa in questa manovra solo pallidi accenni di quanto promesso, Luigi Di Maio lancia un segnale chiaro ai partner di governo: o si allargano le maglie della legge di bilancio, o il governo non regge.

Il bersaglio è ancora il ministro Giovanni Tria, ma si cerca di passare dalla minaccia di ‘dimissionarlo’ a un lavoro concentrico per mediare. La Lega chiede con Giancarlo Giorgetti di spingersi oltre il 2% del rapporto deficit/Pil. E Conte mette il tema al centro della sua missione a Salisburgo per il vertice informale dell’Ue: cercherà di guadagnare, nei suoi colloqui, spazi ulteriori di manovra anche se si mostra ben più prudente dei suoi vicepremier.

Ma ancora in mattinata Tria con gli interlocutori era categorico: neanche arrivare all’1,6% è scontato, spingersi oltre il 2% rischia di essere insostenibile, con l’Ue e sui mercati. Piuttosto che firmare il 2% di deficit – è il ragionamento che più d’uno gli ha sentito fare – mi dimetto io. Una linea che non è certo – precisa – un puntiglio personale.

Se è vero però, come dice Giancarlo Giorgetti, che nel governo nessuno, neanche Tria, “può dormire tranquillo”, le dimissioni del ministro dell’Economia in piena sessione di bilancio sarebbero insostenibili. Lo riconoscono anche i Cinque stelle. Quello che Tria deve fare – concordano con i leghisti – è abbandonare qualche rigidità e spostare l’asticella più su: è possibile salire di qualche decimale per finanziare misure per la crescita – la tesi – senza innervosire i mercati.

In mattinata il presidente del Consiglio riceve a Palazzo Chigi i capigruppo pentastellati Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli. Gli riferiscono l’agitazione della base, che si riflette sulle truppe parlamentari: portare alle Camere una manovra senza reddito di cittadinanza rischierebbe di aprire una voragine, che rimetterebbe in discussione la leadership di Di Maio e con essa la vita stessa dell’esecutivo. E Conte li rassicura: il reddito ci sarà.

Ma l’idea di Tria – inizialmente sposata dal Movimento – di partire dai centri per l’impiego e da un primo step del reddito, rafforzando le risorse del reddito di inclusione, a Di Maio non basta. Soprattutto se, come denunciano i pentastellati, i ‘tecnici’ del Mef e della Lega continueranno a mettersi di traverso rispetto alla pensione di cittadinanza.

Anche la Lega, tranquillizzata dall’aver portato a casa quota 100 per le pensioni (ma si studiano soglie e tempi), chiede a Tria e Conte – la cui prudenza viene inquadrata nel ruolo di garanzia che hanno verso il Colle – più coraggio, più soldi. Un paio di decimali, sono ottimisti a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio potrebbe riuscire a “incassarli” nei colloqui che, da qui al prossimo ottobre, avrà con i suoi omologhi europei. A partire dalla cena e dal vertice informale dei leader Ue a Salisburgo.

Sul tavolo ci sono i dossier migranti, sicurezza e Brexit. Ma Conte punta a trovare lo spazio per introdurre, magari anche in qualche bilaterale, il grande tema della flessibilità. Con un obiettivo: tranquillizzare eurocrati e mercati della “credibilità” della manovra giallo-verde ottenendo, tuttavia, un allargamento dei margini di deficit/Pil.

Non è un’impresa facile: l’ombra di Matteo Salvini, nei consessi europei del premier, continua ad allontanare la solidarietà dei grandi Paesi membri europei. Ma, la carta di Conte, potrebbe essere proprio questa: mettere sul piatto un ammorbidimento dell’atteggiamento italiano in fatto di migranti in cambio ​di uno strappo alla riduzione del deficit/Pil.

(di Serenella Mattera e Michele Esposito/ANSA)

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