Fallimento al vertice, il voto Ue sarà sui migranti

Migranti minori soli sulla passerella scendono a terra dalla nave Diciotti.
Migranti minori soli scendono a terra dalla nave Diciotti. ANSA/ORIETTA SCARDINO

BRUXELLES. – Il vertice dei leader Ue a Salisburgo non ha saputo, o non ha voluto, trovare le risposte per una gestione dei flussi migratori basate su responsabilità e solidarietà, ed appare più che mai ad ostacoli la strada da percorrere per dare una soluzione al dossier che ormai – visto il drastico calo dei flussi verso l’Ue – ha assunto soprattutto una connotazione politica.

A complicare la già difficile situazione è la campagna per il voto delle europee di maggio, che secondo le previsioni degli osservatori si giocherà in larga parte sul terreno delle migrazioni. In questo scenario, è facile immaginare che alcune parti in causa non abbiano, in definitiva, un reale interesse a trovare soluzioni prima dell’appuntamento elettorale, quanto piuttosto il desiderio di innalzare il livello di scontro.

Così nonostante i buoni auspici del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, l’incontro dei capi di stato e di governo nella città di Mozart non solo non è riuscito a trovare l’armonia, ma neppure ad avvicinare le distanze, o a svelenire il clima. E sarà interessante vedere con quale timbro riprenderanno i lavori sul dossier, la prossima settimana, per la preparazione dei prossimi banchi di prova: la riunione dei ministri dell’Interno dei 28, a Lussemburgo, l’11 e 12 ottobre, e un nuovo summit dei capi di Stato e di governo, a Bruxelles, una settimana dopo.

Sul tavolo della discussione, la settimana scorsa, si è aggiunta anche la proposta della Commissione europea di rafforzare Frontex con poteri esecutivi e diecimila unità pronte ad intervenire in caso di necessità alle frontiere esterne. Il primo aggiornamento del quadro normativo che regola l’Agenzia Ue, tra il 2016 e il 2017, si fece in soli nove mesi, ma ora realizzare il progetto su cui spingono Berlino e Parigi potrebbe risultare ben più difficile, visto che varie cancellerie, da Budapest a Roma a Bratislava, vi leggono una perdita di sovranità.

In questo contesto, il monito lanciato a Salisburgo dal presidente francese Emmanuel Macron prima di abbandonare i lavori (i paesi che non vogliono più Frontex e più solidarietà usciranno da Schengen, quelli che non vogliono più Europa non avranno i fondi strutturali) non fa altro che alimentare l’incendio.

Ma Bruxelles spiega: “Nessuno Stato può essere cacciato da Schengen. In caso di una seria carenza alle frontiere esterne, sulla base dell’articolo 29 del Codice Schengen” esiste la possibilità per gli altri Paesi confinanti di introdurre i controlli ai loro confini. Procedura peraltro già applicata in passato per la Grecia. E la recente proposta sul rafforzamento di Frontex, nel caso un Paese non rispetti le raccomandazioni dell’Agenzia Ue o si rifiuti di cooperare, prevede l’apertura di una procedura di infrazione o l’attivazione dell’articolo 29, quindi quanto già largamente possibile.

(di Patrizia Antonini/ANSA)

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