Caso Khashoggi, Usa e Ue boicottano la Davos del deserto

Primo piano dell'estinto Jamal Khashoggi con la kefiah in testa.
Il giornalista ex direttore del giornale saudita Al-Watan, Jamal Khashoggi, ucciso da un commando saudita. EPA/ALI HAIDER

ISTANBUL. – A 16 giorni dalla scomparsa a Istanbul, cresce l’imbarazzo internazionale intorno al caso di Jamal Khashoggi. L’assenza di risposte credibili sulla sorte del giornalista dissidente saudita sta costringendo in queste ore i governi occidentali a prendere le distanze da Riad. La ‘Davos del deserto’, organizzata dal principe ereditario Mohammed bin Salman per attrarre investimenti, rischia sempre più il flop. L’ultima defezione, la più pesante, arriva da Washington.

Anche il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin ha scelto di fare un passo indietro, scuotendo immediatamente i mercati, timorosi che la situazione sfugga di mano all’amministrazione di Donald Trump e spinga il Regno a reagire con un calo della produzione di greggio, facendone rialzare il prezzo. Anche perché il forfait arriva poco dopo quello dei ministri economici di Gran Bretagna, Francia e Olanda.

La conferenza di Riad, prevista dal 23 al 25 ottobre, avrà quindi un profilo ben più basso delle attese, visti anche i ritiri di molti giganti della finanza e dell’editoria, da Uber a Credit Suisse passando per BlackStone e Cnn. Gli Usa continuano a fare pressioni sull’Arabia Saudita per chiudere le indagini al più presto.

Trump è stato aggiornato alla Casa Bianca dal segretario di Stato Mike Pompeo, di ritorno dalla missione a Riad e Ankara, che gli ha chiesto di lasciare a bin Salman qualche giorno in più rispetto alla scadenza di questo fine settimana. Ai cronisti, ha assicurato che il principe si è impegnato personalmente con il presidente a fare chiarezza. I sospetti di insabbiamento restano però forti.

Le ong sollecitano un’indagine indipendente dell’Onu. Ma il Palazzo di Vetro frena: ci sarà solo “se tutte le parti coinvolte lo chiedono o se c’è un mandato legislativo da parte di un organo delle Nazioni Unite”. Sul fronte dell’inchiesta, dopo aver concluso le ispezioni del consolato e della residenza del console, la polizia turca ha esteso per la prima volta le ricerche in altre zone della città. Sotto la lente d’ingrandimento c’è la ‘Foresta di Belgrado’, un bosco meta di escursionisti alla periferia di Istanbul.

La zona è stata transennata e setacciata. Lì si sarebbe diretto uno dei mezzi usciti dal consolato poco dopo l’ingresso di Khashoggi. Nel mirino ci sarebbe pure una fattoria nella vicina provincia di Yalova. L’inchiesta “viene condotta in modo meticoloso e approfondito”, ha assicurato il ministro della Giustizia turco Abdullah Gul, promettendo che porterà “risultati rapidamente”.

Non si ferma neppure la ridda di speculazioni sui media vicini a Recep Tayyip Erdogan. Uno dei presunti killer, il luogotenente dell’aviazione Mashal Saad al-Bostani, sarebbe morto dopo essere tornato a casa in un “incidente d’auto sospetto”. Forse “messo a tacere”, sostiene il quotidiano Yeni Safak. Mentre Sabah ha diffuso alcuni fermo immagine che confermerebbero la presenza in consolato del fedelissimo di bin Salman, il 47enne Maher Abdulaziz Mutreb, suo frequente accompagnatore all’estero. Probabilmente lo stesso agente indicato dalle fonti del New York Times come quello responsabile di un “interrogatorio finito male”.

Intanto, il Washington Post ha pubblicato l’ultimo editoriale di Khashoggi, recapitato dal suo traduttore all’indomani della scomparsa. “Ciò di cui il mondo arabo ha più bisogno è la libertà di espressione”, recita il titolo, quasi un testamento spirituale. Un articolo in cui l’opinionista del quotidiano statunitense ricorda le aspettative tradite della Primavera Araba, denunciando arresti e censure dalla sua Arabia Saudita a Egitto e Libano, e lancia un appello per creare “un forum globale indipendente, libero dall’influenza dei governi nazionalisti che diffondono l’odio attraverso la propaganda”.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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