La Cina frena, le autorità in campo rassicurano i mercati

Operai cinesi con il casco protettivo giallo al lavoro
Cina: Pil trimestre resta al 6,5%

PECHINO. – La Cina è cresciuta di “appena” il 6,5% nel terzo trimestre, a ridosso del 6,4% d’inizio 2009 avuto al picco della crisi globale innescata dal collasso di Lehman Brothers: le turbolenze commerciali con gli Usa, che hanno già presentato il conto, sono destinate ad essere più evidenti nei tre mesi in corso, secondo gli analisti.

Le Borse di Shanghai e Shenzhen, estremamente nervose e in calo di oltre il 25% da inizio 2018, sono state rasserenate con la mobilitazione delle tre autorità finanziarie: Yi Gang, il governatore della People’s Bank of China, Guo Shuqing, a capo della China Banking and Insurance Regulatory Commission, e Liu Shiyu, alla guida della China Securities Regulatory Commission, hanno dovuto spiegare a vario titolo che i corsi azionari non rispondono ai fondamentali solidi dell’economia, considerata su basi espansive.

Il governatore ha assicurato che la liquidità non sarebbe mancata sui mercati e che le stesse amministrazioni locali sarebbero state incoraggiate in tal senso, abbandonando di fatto l’ambizioso progetto di riportare sotto controllo i conti in un’area che resta opaca e su cui pochi giorni fa Standard & Poor’s ha lanciato un allarme.

L’agenzia di valutazione, in un report, ha ipotizzato i “debiti fuori bilancio”, contratti coi veicoli finanziari, in 30-40.000 miliardi di yuan (4.340-5.780 miliardi di dollari circa): “un debito iceberg con ‘titanic’ rischi di credito”, ha scritto S&P’s, stimando a fine 2017 il rapporto dell’indebitamento totale del governo al 60% del Pil.

Nel pomeriggio è sceso in campo anche Liu He, vicepremier e plenipotenziario del presidente Xi Jinping sull’economia: Cina e Usa “sono ora in contatto l’un l’altro”, ha detto, ma è ancora presto per dire se ci potrà essere un confronto. Mentre il South China Morning Post ha rilanciato come quasi definito, in base a una fonte, l’incontro tra Donald Trump e Xi al G20 di novembre.

In una lunga intervista ai media locali, Liu ha detto che le frizioni Cina-Usa “hanno anche avuto impatto sui mercati, ma l’effetto psicologico risulta maggiore del reale impatto”. Il Pil del terzo trimestre, pur se in linea col “6,5% circa” fissato da Pechino per quest’anno, è meno del 6,7% di aprile-giugno e del 6,6% ipostizzato dagli analisti, mentre è in linea con le attese l’1,6% congiunturale.

“L’economia ha continuato a essere stabile con un buon momento di crescita”, ha rimarcato l’Ufficio nazionale di statistica, notando “le maggiori sfide dall’esterno” e le “spinte al ribasso sul fronte interno”. Un rallentamento metterebbe a rischio il piano di Xi su una “società moderatamente prospera” doppiando il Pil 2010 pro capite al 2020 per il quale, secondo gli economisti, si richiederebbe un passo minimo del 6,5% annuo.

Nei primi 9 mesi, il Pil è salito del 6,7%, a 65.090 miliardi di yuan (9.380 miliardi di dollari): la crescita di investimenti e vendite al dettaglio ha frenato con la domanda più debole. Gli investimenti in asset fissi, come costruzioni e infrastrutture, si sono attestati a +5,4% (-0,6% sui primi 6 mesi). Nello stesso periodo le vendite al dettaglio sono salite del 9,3% (da 9,4%).

L’export si è fermato a +6,5%, ma gli analisti sono scettici che il trend possa proseguire dopo gli ultimi dazi Usa a colpire 200 miliardi di importazioni “made in China”. Il Fmi ha tagliato nelle sue ultime previsioni ha tagliato dello 0,2% la crescita della Cina sia nel 2018, al 6,6%, sia nel 2019, al 6,2%. Le due Borse cinesi hanno chiuso oggi entrambe a +2,58%, ma è evidente che qualcosa in più debba essere fatta da Pechino per scongiurare scenari affatto positivi.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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