Allarme Bolsonaro

Primo piano di Bolsonaro con le mano in atto di sparare. Brasile
Primo piano di Bolsonaro con le mano in atto di sparare. Brasile

In Brasile il tramonto della democrazia ha un nome e una data, domenica prossima Jair Bolsonaro potrebbe uscire dalle urne del secondo turno elettorale come il nuovo capo dello stato. Uno che invita i cittadini ad armarsi per la difesa individuale dai diavoli: le donne che disistima per pregiudizio, i diritti che turbano l’ordine gerarchico naturale (dirà lui quali…), gli omosessuali, la sinistra e tutti coloro che non l’attaccano con la baionetta in canna. I sondaggi gli attribuiscono una larga maggioranza sul candidato del centro-sinistra ed erede dell’ex presidente Lula ormai in carcere, il cattedratico del diritto Fernando Haddad.

Bolsonaro catalizza dunque tensioni e timori da entrambi gli emisferi americani, ma lo seguono con sgomento anche dall’Europa. Oltre trenta celebrità internazionali della cultura, dalla Sorbona, da Cambridge e Oxford, da Yale, Princeton, Harvard si sono rivolte all’ex capo di stato e prestigioso sociologo Fernando Henrique Cardoso, affinché in nome del superiore interesse nazionale e dei comuni valori civili superi dissapori e risentimenti personali per favorire in ogni modo il massimo sostegno a Fernando Haddad. Anche il compassato Economist, in un’iniziativa del tutto eccezionale, ha espresso con toni drammatici la sua preoccupazione.

La Folha di San Paolo, il maggiore quotidiano economico-finanziario del Sudamerica, ha rivelato che l’inedita esplosione di WhatsApp che attaccano in ogni modo Haddad, anche con grossolane falsità, per favorire Bolsonaro, al pari di altre estese campagne aggressive sulle reti sociali, sono state finanziate in segreto (con oltre 12 milioni di reales) da grandi imprese private in violazione alla legge che impone di dichiararne i rilevantissimi costi come donazione. Bolsonaro insiste di non saperne nulla, come ha ripetuto anche al vescovo di San Paolo che ha incontrato a lungo l’altro giorno. E continua a rifiutare qualsiasi confronto pubblico con l’avversario.

Non è il cavaliere nero dell’Apocalisse, fame e violenza; solo un ex capitano dell’esercito che il milionario vescovo della Igreja Universal do Reino de Deus, Edir Macedo (la sua emittente TV è seconda per ascolti nel paese soltanto alla onnipresente Rede Globo), ha introdotto anni addietro nel giro delle sempre più potenti chiese evangeliche. Ma dalla fine della ventennale dittatura militare, nel 1983, nessun candidato alla massima magistratura dello stato aveva mai manifestato in forme tanto aperte e provocatorie l’intenzione di sovvertire l’ordine costituzionale dello stato come ha fatto Bolsonaro. Mezzo mondo ormai gli dice fascista.

Se lo sconcerto è profondo, la sorpresa resta tuttavia relativa. Il protrarsi della crisi economica che con strappi alterni soffoca da un decennio l’intero Occidente, nel bel mezzo di un rinnovamento epocale dei sistemi produttivi, ha accelerato anche il logoramento delle sue istituzioni e cultura politica. Se il Brasile fa eccezione, è per esserne un caso particolarmente virulento. La corruzione, certo: è un leitmotiv che con piena ragione ha marcato a fuoco la lotta politica dopo aver inquinato il sistema dei partiti. La giustizia l’ha pesata con la bilancia tutta da una parte. La campagna elettorale se n’è ingrassata a crepapelle. Bolsonaro ne è una conseguenza. Appena la prima, per evidenza.

La malattia viene però di lontano ed è penetrata nelle viscere del paese. Sintomi significativi sebbene grotteschi erano visibili fin dagli anni Trenta del secolo scorso, l’esercito era un arcipelago di feudatari. Poi i moti di caserma, il suicidio di Vargas, l’ultima dittatura dopo la cacciata di Quadros e Goulart. Cardoso restaura una democrazia avvelenata dallo statuto militare. Lula presidente-operaio che sembra conciliare le anime inconciliabili del gigante sudamericano e rianimarle entrambe. Ma il marcio mai scomparso corrode tutto. Il maledetto narcotraffico come ultimo esito: fonte inesauribile di corruzione dei poteri, della semplice dignità dei cittadini, d’ogni valore civile.

L’anno scorso 64mila morti ammazzati. E 2mila milionari certificati ufficialmente che se ne vanno con i loro capitali dal paese per stabilirsi a Miami e a Lisbona, dove gli fanno ponti d’oro, scartoffie ridotte al minimo e fisco friendly. E l’emorragia continua. Anche in Brasile assistiamo a una classe media disorientata e schiacciata nella rivolta delle periferie culturali, sociali e toponomastiche contro élites di cui finiscono per diventare massa di manovra. Senza che dall’abnorme eterogeneità dei 30 partiti presenti in Parlamento esca un’iniziativa capace di preservare la società brasiliana, 200 milioni di persone con l’ottava economia del mondo, dai danni del più pericoloso progetto estremista.

Livio Zanotti

Ildiavolononmuoremai.it

 

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