L’antirazzismo mobilita New York: Charles White, la mostra

All'ingresso della Charles White, la mostra.
Charles White, la mostra.

di Livio Zanotti

L’ultimo pacco-bomba della salva esplosiva che accompagna la vigilia elettorale americana è arrivato in un ufficio postale pubblico di New York, pochi isolati a sud-ovest del Museo d’Arte Moderna, il celeberrimo MOMA. Una distanza brevissima che marca tuttavia simbolicamente i due poli opposti dell’esasperato stato d’animo politico della città e del paese. Disagio più che timore, alternato a indignata fermezza.

Giornalisti davanti all’ufficio postale preso di mira

Il primo circondato da cordoni di poliziotti e troupes televisive, sorvolato dagli elicotteri che proteggono dall’alto l’autocarro con rimorchio blindato su cui gli artificieri trasportano in laboratorio l’ordigno da disinnescare. L’altro affollato dalle migliaia di persone richiamate dalle nuove esposizioni di artisti neri, acclamati innovatori impegnati nella denuncia del razzismo tra le due guerre mondiali e poi dimenticati fino a ieri da critici, galleristi e grande pubblico.

L’autore davanti all’ufficio postale

La coda in attesa all’ingresso del grande edificio di Mid-Manhattan parzialmente in restauro segue attenta e silenziosa l’ululato delle auto-pattuglie di pronto intervento che giunge dall’altro versante della Fifth avenue, da una zona ormai ammodernata da recentissime e spesso gigantesche costruzioni, ma che la memoria popolare e i telegiornali continuano a chiamare Hell’s Kitchen, cucina del diavolo, come ai tempi in cui ospitava varie attività di malaffare. E in queste circostanze evoca quasi l’eco di una maledizione.

Più d’uno segue sul proprio smart-phone il notiziario in diretta della CNN, ritmato dal vorticare delle pale degli elicotteri della polizia proprio sulle nostre teste: hanno arrestato un sospetto in Florida (si saprà poi che è un autista di ristorante simpatizzante del suprematismo bianco, legato al Ku-Klux-Klan di Miami). Ma i più leggono la biografia di Charles White, un artista plastico di Chicago impegnato nella solidarietà con la sua gente, maestro del muralismo e del ritratto sociale, attrazione numero uno della mostra.

 

Una delle opere di Charles White

Il suo stile asciutto, essenziale, diventa potente per il carattere deciso del tratto, spesso in carboncino. Ma anche con la penna e l’olio, nei ritratti così come nei grandi affreschi d’insieme, White preferisce la drammaticità del bianco-nero. Nei quartieri meridionali di Chicago in cui sono concentrati ancor oggi i neri (che lui senza reticenze e anzi per denuncia e sfida chiama niggers, negri, perché pur con tutte le sue ipocrisie la political-correctness era allora al di là da venire e questo era lo sferzante appellativo con cui gli si rivolgevano i bianchi), l’artista vi coglie le loro sofferenze e il dolore, ma anche una irriducibile dignità.

Charles White – Carboncino

Sono gli anni ruggenti del riformismo roosveltiano, White lavora nei centri di promozione artistica aperti dal governo su una duplice linea: la denuncia delle discriminazioni e la valorizzazione dei contributi della popolazione afro-americana alla cultura nazionale. Adesso, nell’atrio e nelle 4 sale riservate dal MOMA ai suoi lavori, l’ammirazione dei visitatori appare evidente, in più d’un caso esplicita. Il vincolo alla coralità con cui rappresenta il talento poliedrico degli afro-americani, dalla poesia, all’atletica, al canto e allo spettacolo in generale con speciale attenzione per il cinema, suscita brusii compiaciuti.

Clamoroso il contrasto con quell’odio di cui appena qualche centinaio di metri al di là delle pareti sulle quali è esposta l’opera di White, le sirene della polizia e il sordo ronzio del traffico automobilistico costretto a procedere a passo d’uomo dalle transenne di sicurezza distese lungo il perimetro del possibile attentato rinviano la bieca violenza, il sordido desiderio di sopraffazione. Per recuperare e riproporre il valore etico oltre che artistico degli autori neri esposti, i responsabili del MOMA hanno organizzato una collaborazione internazionale con i singoli collezionisti e le fondazioni (tra cui quella intitolata a Marella e Giovanni Agnelli) che dispongono dei loro lavori.

Robert Colescott – Emergency Room 1989

A White si sommano ad esempio Robert Colescott, suo coetaneo e compagno di viaggio attraverso il cubismo di Picasso e il muralismo dei messicani Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e Antonio Orozco; e

Horace Pippin, con il suo iconico Abramo Lincoln, il Grande Emancipatore. Faith Ringgold, la famosa scrittrice e pittrice di Harlem quasi novantenne, è presente con un olio grandioso –American people– che replica il Guernica picassiano rievocando gli scontri razziali che insanguinarono gli Stati Uniti negli anni Sessanta del secolo passato. Un invito emozionante a riconoscerci nella comune umanità necessaria a preservare la bellezza della nostra vita sul pianeta Terra.