Trump perde la Camera ma tiene il Senato: “Collaboriamo”

Donald Trump in primo piano.
Il presidente Donald Trump. (ANSA)

WASHINGTON. – “E’ l’ora di collaborare”. Passata la lunga notte elettorale, Donald Trump appare visibilmente stanco. Ma presentandosi ai giornalisti assiepati nella East Room della Casa Bianca, canta vittoria e parla di “successo ogni oltre aspettativa” per i repubblicani: “E’ stato un giorno incredibile”. A Capitol Hill intanto esulta anche una raggiante Nancy Pelosi, fino a ieri leader della minoranza alla Camera. Camera che dopo 8 anni è stata riconquistata dai democratici che l’avevano persa nel 2010, a metà del primo mandato di Barack Obama.

Il tycoon però non vuol sentire parlare di sconfitta. Col tour de force di comizi che nel rush finale della campagna elettorale lo ha portato da un angolo all’altro dell’America, rivendica di essere uscito a testa alta da un voto che di fatto è stato un referendum su di lui. E se il partito che lo sostiene ha rafforzato il suo controllo sul Senato è in grandissima parte merito suo. Mentre perdere la maggioranza alla Camera, nonostante lo renda ‘un’anatra zoppa’, è un fatto quasi fisiologico nelle elezioni di metà mandato.

“Altro che onda blu democratica”, afferma il tycoon, che stavolta però non alza i toni. Anzi, dopo una delle campagne elettorali più velenose e divisive della storia Usa, si mostra nelle vesti quasi inedite di presidente dialogante, lanciando un appello bipartisan al Congresso e rivolgendosi direttamente a Nancy Pelosi, destinata probabilmente a diventare la prossima speaker della Camera, terza carica dello stato: “Lavoriamo insieme, possiamo farlo dal piano per le infrastrutture al rafforzamento delle frontiere e del miracolo del boom economico”.

L’unico avvertimento ai dem è sul fronte del Russiagate. Per un attimo Trump torna ad essere quello di sempre e minaccia ritorsioni se gli avversari sfrutteranno la maggioranza riconquistata alla Camera per indagare su di lui. Ma Pelosi al momento sembra raccogliere l’invito al dialogo e non affonda: “Abbiamo il dovere di vigilare, ma nessuna indagine indiscriminata”.

L’Election Day consegna comunque all’America un Congresso spaccato in due. Mentre le operazioni di spoglio non si sono ancora concluse ovunque, alla Camera i democratici hanno già messo in cassaforte 220 seggi sui 218 necessari per avere la maggioranza, strappandone almeno 26 ai repubblicani fermi a quota 196. Un risultato ottenuto soprattutto grazie alle tante candidate donne messe in campo dai dem: una vera e propria ‘onda rosa’ senza precedenti, figlia dell’era del #metoo e nella quale spiccano personaggi di cui si sentirà molto probabilmente parlare in futuro, come la progressista Alexandra Ocasio-Cortez, che con i suoi 29 anni è la più giovane mai eletta in Congresso.

Il Senato invece resta ai repubblicani, usciti vincitori dalla sfida più attesa, che poteva risultare fatale per Trump: quella in Texas, dove l’astro nascente dei dem Beto O’Rourke, ‘l’Obama bianco’, ha sfiorato l’impresa ma alla fine ha ceduto all’ex rivale del tycoon Ted Cruz. Il Grand Old Party al Senato sale così ad almeno 51 seggi, guadagnandone due, contro i 46 dei democratici. Ma ci sono ancora tre Stati da assegnare per rafforzare i propri numeri: Florida, Arizona e Mississippi.

Intanto Wall Street brinda e vola sulle ali di un risultato che è il più gradito ai big dell’economia e della finanza: un Congresso diviso è la miglior garanzia per uno status quo che in molti auspicano.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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