L’ex braccio destro di Trump vide in segreto Assange

In una foto d'archivio Assange mostra i documenti trafugati.
In una foto d'archivio Assange mostra i documenti trafugati. (ANSA/AP Photo/Kirsty Wigglesworth, File)

WASHINGTON. – Paul Manafort, l’ex braccio destro di Donald Trump negli ultimi mesi della campagna elettorale per la Casa Bianca, ha incontrato più volte e in segreto Julian Assange. L’ultima probabilmente nel marzo 2016, poche settimane prima che il fondatore di Wikileaks desse l’ordine di pubblicare le e-mail ‘rubate’ dagli hacker russi al partito democratico. Quelle e-mail che per Hillary Clinton sono all’origine della sua sconfitta alle presidenziali.

Un vero e proprio intrigo quello svelato dal Guardian, che potrebbe mettere ancor più nei guai Manafort, sul quale si sono abbattute le ire del procuratore speciale che indaga sul Russiagate, Robert Mueller. Quest’ultimo ha infatti accusato l’ex responsabile della campagna di Trump di continuare a mentire agli investigatori, violando quel patto di collaborazione che Manafort aveva accettato allo scopo di veder ridotta la sua pena. Pena che adesso rischia inevitabilmente di aggravarsi.

La storia dei colloqui segreti con Assange – avvenuti all’interno dell’ambasciata londinese dell’Ecuador dove dal 2012 si trova il fondatore di Wikileaks – potrebbe essere legata proprio a quelle bugie che Manafort avrebbe continuato a dire. Gli incontri – come riporta il quotidiano britannico – sarebbero avvenuti nel 2013, nel 2015 e nel 2016. Di particolare interesse l’ultimo, che si pensa risalga al mese di marzo, pochi giorni prima che Manafort entrasse nel team elettorale di Trump e che Wikileaks sganciasse le sue bombe contro Hillary Clinton.

Se il legame tra l’incontro del 2016 Manafort-Assange e la vicenda delle e-mail fosse provato, per le indagini del Russiagate sarebbe una vera e propria svolta. Mentre le due parti in causa negano categoricamente di aver mai avuto contatti. Wikileaks parla di falso e via Twitter si dice pronto “a scommettere un milione di dollari e la testa del suo direttore” sul fatto che Paul Manafort “non ha mai incontrato (Julian) Assange”.

Il Guardian riporta intanto che fin dal 2013 il nome di Manafort all’ambasciata ecuadoregna di Londra era nella lista degli ospiti “di casa”, quelli le cui visite erano più frequenti. Una lista che comprende anche dei non ben identificati “russi”. Sempre più, dunque, l’ex responsabile della campagna di Trump, viene sospettato di essere l’anello, o uno degli anelli di congiunzione tra il mondo del tycoon e gli ambienti moscoviti. Senza contare che Manafort ebbe un ruolo centrale nell’organizzare il famoso incontro alla Trump Tower con esponenti russi che affermavano di avere materiale compromettente nei confronti della Clinton.

Il presidente americano intanto non nasconde la sua rabbia contro Mueller, attaccandolo ancora una volta su Twitter: “I media delle fake news ne fanno un santo ma in realtà è l’esatto opposto”. E mentre le nubi del Russiagate si addensano sulla strada che porta alle presidenziali del 2020, Beto O’Rourke, ‘l’Obama bianco’ astro nascente dei dem, non esclude di candidarsi, aprendo per la prima volta in pubblico a una possibilità che finora aveva sempre negato.

Texano, 46 anni, divenuto uno dei personaggi più popolari della politica americana dopo aver sfiorato il miracolo alle elezioni di metà mandato, perdendo di un soffio la corsa per un seggio al Senato contro il favoritissimo Ted Cruz, Beto ha detto chiaramente: “Io e mia moglie Amy stiamo pensando a molte cose e abbiamo deciso di non escludere nulla”. In campo democratico a temere di più la sua discesa in campo per il 2020 sono i possibili candidati più progressisti come la senatrice Elizabeth Warren e il senatore Bernie Sanders.