Dalle parole ai fatti: la politica della ragionevolezza

Il Presidente della Commissione UE, Juncker, stringe la mano al nostro Premier, Giuseppe Conte. Europa
Il Presidente della Commissione UE, Juncker, stringe la mano al nostro Premier, Giuseppe Conte. FOTO ANSA

Il mese di Novembre è stato un crocevia importante per il Governo Conte. La bocciatura della manovra, definitiva nonostante lo scambio continuo di corrispondenza tra l’esecutivo e Juncker, ha aperto una voragine nella maggioranza, allarmata dall’assenza di un piano B. Ovviamente i due Vicepresidenti del Consiglio hanno “tirato dritto”, nonostante i primi segnali negativi provenienti dai mercati e dalla borsa di Milano.

La manovra del popolo, su cui sia la Lega che i grillini riponevano le loro speranze, non ha trovato eco in Europa, anzi. Dalle Alpi all’Oriente, tutti oramai invocano le sanzioni per il nostro Paese. Tutti, ora, si sentono in diritto di parlare e di giudicare l’operato del nostro esecutivo. In Italia, ciò ha provocato la “festa delle opposizioni” che, ridotte ad un cumulo di macerie, hanno sfruttato il riecheggiante richiamo delle sanzioni per attaccare il contenuto del testo della Legge di Bilancio. Un contenuto che, se compreso, avrebbe dato la possibilità al nostro Paese di applicare una politica espansiva per la crescita. In questi giorni il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si è recato a Bruxelles per intavolare un discorso con Jean Claude Juncker, Presidente della Commissione Europea. Il danno è fatto, però il nostro Primo Ministro cercherà di ridurre al minimo le sanzioni per il nostro Paese, mostrandosi collaborativo e pronto a modificare la manovra in caso di necessità. Ma ancor più importante, forse, sarebbe spiegare il contenuto della stessa e le potenzialità che il disegno di legge conterrebbe. Bisognerebbe superare la politica dell’austerity, proclamata legge universale dell’Unione, per consentire ad un Paese la crescita anche attraverso altri mezzi, come lo sforamento del deficit, d’altronde nessuno ha mai parlato di andare oltre il 3% (come sottolineato nel Patto di Stabilità e Crescita sottoscritto dagli Stati UE).

Anche il Consiglio di Economia e Finanza (Ecofin), in cui si riuniscono i Ministri dell’Economia degli Stati membri dell’UE, ha bocciato la manovra del popolo. Un’altra gatta da pelare per l’esecutivo giallo-verde. Non mi riferisco, ovviamente, al già trattato lato economico della questione, ma a quello squisitamente geopolitico.

Perché gli Stati politicamente vicini all’Italia, come l’Austria e l’Ungheria, stanno boicottando il programma di Governo? 

Le risposte sono due: o questi Paesi si son risvegliati paladini della giustizia, della pace e della stabilità oppure c’è qualcos’altro dietro questo repentino cambio di opinione nei confronti dell’Italia. Un’opinione molto diffusa al riguardo è quella secondo cui la battaglia contro l’Italia rappresenterebbe, per i sovranisti in questione, un motivo per riavvicinarsi all’Unione Europea. Inoltre, è risaputo che Kurz e Orban guardano soltanto agli interessi di casa loro, in barba allo spirito di solidarietà che dovrebbe accomunare il popolo europeo.

Sul fronte europeo, dunque, l’Italia resta isolata. Anche Alexis Tsipras, Primo Ministro della Grecia, ha consigliato al nostro esecutivo di invertire la rotta nei confronti dell’Unione Europea. Un consiglio prezioso proveniente da colui che da sostenitore accanito di una riforma della politica dell’austerity inaugurata proprio nei confronti della Repubblica Ellenica, è diventato un mero esecutore dei richiami del Grande Capo di Bruxelles.

L’Unione Europea non è solo Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo. Anche i Paesi ne fanno parte, soprattutto loro che per i propri interessi sono pronti a voltare le spalle a coloro che sono più in difficoltà. 

Così recitava un tweet di un cittadino qualunque nel commentare gli episodi di boicottaggio in atto contro il nostro Paese che nel giro di un paio di settimane è passato dall’essere il perno centrale del cambiamento ad una semplice voce fuori dal coro.

La voce grossa non ha funzionato, i pugni sul tavolo non hanno sortito l’effetto voluto. La linea dura intrapresa dal nostro Governo sul piano economico non avrebbe mai potuto funzionare con chi ha in mano i mercati, vero strumento di “timore popolare”. Forse poteva funzionare sul piano dell’immigrazione, ma la finanza è altra cosa.

Gli Stati che compongono l’Europa non hanno nessun interesse a cambiare, in particolar modo quelli che traggono vantaggio dalle situazioni di difficoltà altrui. L’Italia si è illusa di farsi portavoce di un cambiamento che non avverrà mai (non ora), nemmeno alle Elezioni Europee del 2019. Infatti, se le cose stanno così, con gli alleati di Salvini che gli hanno voltato le spalle, quanti vantaggi potrà trarre l’Italia dalla vittoria dei sovranisti? Per ora, nessun Paese ha espresso solidarietà nei nostri confronti ed è improbabile che accadrà nei mesi successivi.

Ovviamente non tutto è perduto. Quando il pugno non nuoce, i politici più astuti e di buonsenso ricorrono alla politica della ragionevolezza. Questa strategia, mirata in questo momento ad ottenere il danno minore, è funzionale a questa situazione difficile in cui si trova il nostro Paese. Trovare i punti di incontro, tra Italia ed UE, sarebbe un’eccellente mossa diplomatica per evitare delle sanzioni che graverebbero troppo sul bilancio pubblico. Se la serie di bilaterali inaugurati diversi giorni fa, tra Conte e Juncker (ora in Argentina per il G-20), per discutere sul debito, si risolvessero in un’apertura del nostro Governo verso la modifica dello sforamento del deficit, si potrebbero anche evitare le procedure di infrazione nei nostro confronti.

La politica della ragionevolezza, dunque, potrebbe essere una soluzione per evitare una sconfitta che rovescerebbe le sorti di questo Governo che, fino ad ora, ha mantenuto una linea dura non adottando un piano B. Una strategia che si è rivelata fallimentare. Bisognava avere lungimiranza già da quei primi incontri avvenuti tra il mese di Giugno e di Luglio. Infatti, come ripetuto in diversi articoli, bisognava impedire che il Def di Gentiloni, dell’Aprile scorso (se non c’è un nuovo Governo quello precedente resta in carica per gli affari urgenti) diventasse il modello a cui ispirarsi per la Nota di Aggiornamento di Settembre. D’altronde con un programma di Governo che prevedeva ampie spese per rimettere in moto la crescita, una piccola notifica all’Unione Europea sarebbe stata necessaria. Le tante parole, gli slogan e quant’altro che hanno accompagnato la campagna anti-Europa, sicuramente non sono state le mosse giuste. Così, si pensava di raccogliere il consenso degli altri Stati che, dal canto loro – lo vediamo adesso-, se ne son fregati.

Dopo il semi-fallimento della politica “della raccolta” dei dissidenti europei, resta solo da sperare che i principali esponenti dell’esecutivo giallo-verde si convincano che l’unica strada da intraprendere con l’Unione è il dialogo. Salvini si è mostrato propenso ad una modifica del “numeretto”, dichiarando che il 2,4% non è la Bibbia, Di Maio invece ha invitato il suo collega alla calma. Entrambi i leader dei partiti di maggioranza, però, non si sono spinti oltre, stabilendo che qualunque sia la soluzione non rinunceranno a più dello 0,2% (5 miliardi), facendo scendere lo sforamento del rapporto deficit/PIL al 2,2%.

Giuseppe Conte, si è dimostrato più lungimirante e diplomatico dei suoi Ministri, mostrando il suo piano “salva Italia” al Presidente della Commissione. Voci non confermate affermerebbero che il Presidente Conte abbia proposto ai suoi Ministri un piano contenete una riduzione delle pretese sullo sforamento, portandolo dal 2,4% al 2%.

Non si sa se questo presunto tentativo conciliatorio del Premier abbia avuto successo, però è indubbia la volontà da parte di alcuni governanti di evitare una rottura definitiva con i vertici europei. Ovviamente la pacificazione ha un doppio fine: assecondare parte delle richieste europee (riduzione del deficit), senza rinunciare alle promesse elettorali.

Le richieste dell’Unione Europea e in particolare del Commissario al Bilancio, Pierre Moscovici, invece, ruotano attorno ad un aggiustamento dell’1% dello sforamento italiano (dal 2,4% all’1,4%), cioè 17 miliardi di euro. Il problema, però, è che questi miliardi sarebbero quelli destinati alla Fornero e al reddito di cittadinanza, su cui manco a farlo apposta i vari commissari si sono espressi negativamente. Le sanzioni, invece, andrebbero da un minimo di 3,6 miliardi ad un massimo di 9 miliardi di euro, gravanti sul bilancio. La procedura verrebbe aperta nella Primavera del 2019 e si concluderebbe due anni dopo, nel frattempo però l’Unione monitorerebbe la nostra situazione passo passo.

Questa incertezza nelle trattative si riflette anche a livello nazionale. La discussione in Parlamento della Legge di Bilancio, prevista per il 1 Dicembre, è slittata al 5 Dicembre. Nella giornata di sabato 1 Dicembre, invece, sono attesi gli emendamenti del Governo che, ovviamente, terranno conto dell’esito della discussione tra Conte e Jucnker a Buenos Aires. Sicuramente verrà preparato un maxi-emendamento, contenente gli aggiustamenti apportati dal Governo, che verrà sottoposto alla gogna nelle aule parlamentari.

L’ottimismo del Presidente della Commissione e del Presidente del Consiglio è rassicurante, nonostante i Ministri dell’Economia dei vari Paesi dell’Unione, per motivi più politici che economici, gettano del fango sulla trattativa.

Il problema della manovra non è l’unico che ha messo in subbuglio la situazione interna. C’è anche il Global Compact. Innanzitutto, cos’è?

Il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration, è un accordo intergovernativo, negoziato sotto l’egida dell’ONU, che mira a coprire tutti gli aspetti delle migrazioni internazionali. L’accordo, non è vincolante per gli Stati ma è una mera raccomandazione affinché tutti i Paesi possano gestire il fenomeno migratorio nel modo più corretto possibile (Global C. punto 7 del Preambolo). Il richiamo dell’accordo sulla gestione comune dell’immigrazione (e dei rifugiati) è il principio fondante dell’accordo stesso. L’incontro per la discussione e l’adozione si terrà a Marrakech (Marocco) tra il 10 e il 11 dicembre 2018.

L’accordo si basa su diversi principi tra cui: la lotta alla xenofobia, la lotta allo sfruttamento, il contrasto del traffico degli esseri umani, il potenziamento dei sistemi di integrazione, l’assistenza umanitaria e un programma di sviluppo per l’integrazione. Il Patto prevede inoltre un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità che ospitano il maggior numero di rifugiati.

Molti Paesi si sono schierati contro quest’accordo tra cui spiccano gli USA di Trump, l’immancabile Austria, l’intero blocco di Visegrad e la Polonia.

L’Italia, invece, ha sospeso l’adesione al Global Compact sull’immigrazione (firmato da circa 190 Paesi nel 2016 ed ora ribattezzato Dichiarazione di New York). Inoltre il nostro Paese non parteciperà all’incontro di Dicembre. La sospensione è arrivata prima da Conte e poi da Salvini e dalla Meloni. L’atto verrà rimesso al Parlamento alla fine di Dicembre e sarà l’ennesimo provvedimento che rischierà di far vacillare la maggioranza di Governo

Il leader della Lega ha parlato di equiparazione di migranti economici e rifugiati, Giorgia Meloni invece ha parlato di “autorizzazione all’invasione”. Entrambi le motivazioni sono abbastanza discutibili. Nel primo caso, all’interno del testo viene sottolineato come l’atto non equipari le due categorie di migranti, ma vengono loro garantiti solo i diritti fondamentali quali norme imperative (non derogabili) del diritto internazionale. Nel secondo caso, essendo l’accordo non vincolante e rimesso agli Stati che, se vorranno, potranno concludere accordi bilaterali/multilaterali, non è corretto parlare di “autorizzazione all’invasione”, poiché non ne autorizzerebbe nessuna.

Il rimettere la votazione al Parlamento fa parte di una tattica di affossamento perpetrata dalla Lega, di rinvio in rinvio il voto non si terrà mai. Perché? Per il semplice fatto che il 22 Dicembre, probabile data della votazione, si terranno ancora le discussioni sulla Legge di Bilancio e il Global Compact, dunque, verrà rinviato al 7 Gennaio. Si darà vita ad un circolo vizioso fatto di rinvii che affosseranno il provvedimento in modo definitivo e inequivocabile.

E il Movimento Cinque Stelle? Mistero. Da più di un mese il partito pentastellato è diventato un oggetto misterioso in balia degli “ordini” salviniani.

Impegnato in “questioni familiari molto scottanti”, Di Maio non si è espresso sul Global Compact. L’unico straccio di dichiarazione concerne una improbabile discussione in Parlamento, come se il Ministro non avesse compreso che così facendo la spaccatura del partito si accentuerebbe, mettendo a rischio (questa volta davvero seriamente) la tenuta del giovanissimo Governo Conte.

L’unica voce grillina, per una volta condivisibile, proviene dal Presidente della Camera, Roberto Fico, che ha rimproverato severamente il Presidente Conte della leggerezza con cui ha trattato la presa di posizione dell’ONU.

Come si può ben capire, non è solo Fico a rimproverare Conte della sua leggerezza, ma una buona parte dei parlamentari grillini, stufi di sottostare alle decisioni del leader della Lega, il quale ha preso in mano le chiavi del Governo influenzandone tutte le decisioni. Entrambi i leader di partito, però, sembrerebbero non preoccuparsi degli sviluppi improvvisi che questi giochi di potere potrebbero provocare.

D’altronde il Decreto Sicurezza, di recente approvazione, è l’anticristo dell’accordo dell’ONU sull’immigrazione e i rifugiati.

Dunque, la situazione a livello internazionale sembrerebbe abbastanza “affollata” da problemi, incertezze e discussioni che irrimediabilmente si riversano sul versante interno. Servirebbero calma, lucidità e razionalità. La politica della ragionevolezza vale anche per le questioni inerenti alle politiche dell’ONU, organizzazione nazionale che andrebbe riformata, certo, ma che comunque ha garantito una certa stabilità internazionale, la garanzia dei diritti umani fondamentali a livello globale e che continua ad occuparsi di temi molto sensibili per tutta l’umanità. Lo stesso discorso varrebbe per l’Unione Europea, la quale dovrebbe garantire un certa stabilità e uno spirito di collaborazione e solidarietà, lontano dalle politiche punitive e sanzionatorie che provocherebbero soltanto un aumento del dissenso. La grande famiglia Europea (istituzioni e Stati membri) dovrebbe garantire una diplomazia conciliatoria, affinché il tutto si possa risolvere nel migliore dei modi.

Se l’Europa sarà disponibile, lo sarà anche l’Italia e viceversa. 

Donatello D’Andrea