La morale europea, e globalista, che non salverà la Francia

La protesta dei gilet gialli in Francia. Macron
Il movimento dei "gilet gialli", nato in seguito ad una protesta contro il rincaro della benzina, potrebbe aver assunto altre forme più profonde e complesse. FOTO ANSA

La Francia, negli ultimi giorni, è stata scossa da una serie di manifestazioni, sfociate in violenze diffuse, da parte di un movimento ribattezzato dai media “gilet gialli”. In particolare, gli scontri del 17 e del 24 Novembre hanno messo a ferro e fuoco alcune importanti vie di Parigi, con incendi e saccheggi di esercizi commerciali di un certo valore e hanno provocato il ferimento di poliziotti e civili. Il 2 dicembre, invece, ha confermato il clima insurrezionale che sta animando il Paese d’oltralpe: non si tratta più di una protesta contro i provvedimenti del Governo, ma di una protesta contro il Governo. La posizione di Macron, ora, è in serio rischio.

Partiamo dal principio. Come si è arrivati a questo punto?

Le proteste sono iniziate il giorno 17 Novembre, quando 300mila “gilet gialli” (dai gilet catarifrangenti che sono diventati il simbolo dei manifestanti), si sono mobilitati in tutto il Paese contro un rincaro di 7 centesimi delle accise del gasolio e di 4 centesimi di quelle sulla benzina. Questo, a quanto si è capito, avrebbe dovuto essere il motivo di fondo della rivolta. A quanto pare non è così, o meglio non è questo l’unico motivo alla base della protesta.

Il movimento, infatti, sembra essere guidati da una profonda rabbia nei confronti del sistema che il Presidente “dei ricchi”, Emmanuel Macron, rappresenterebbe. In poche parole il movimento di protesta è il veicolo con cui i cittadini francesi, e l’opinione pubblica, cercano di sfogare il proprio malcontento diffuso. Le richieste, infatti, sembrerebbero essere molte, contraddittorie e carenti dal punto di vista della specificità. Dall’eccessiva tassazione all’immigrazione, dalle accise sulla benzina (sentite più nelle zone rurali che a Parigi, peraltro), alla figura di Macron e all’europeismo come soluzione di tutti i problemi. 

Nonostante il numero dei partecipanti sia progressivamente calato, il dato fattuale è un altro: la figura politica del Presidente francese è definitivamente e irrimediabilmente bruciata. 

La “luna di miele” del nuovo volto dell’Eliseo è arrivata alla sua conclusione. Saltato come il salvatore dell’Unione Europea e dei suoi principi, il Presidente Macron sembrerebbe aver tradito le aspettative di chi voleva che la politica francese assumesse un nuovo corso, lontano dal socialismo “approfittatore” di Hollande e dal “personalismo” di Sarkozy. Già con l’abolizione della “tassa di solidarietà”, che calcolava il contributo dei privati in base al reddito, i cittadini iniziarono a storcere il naso nei confronti del giovane Presidente. Tale gesto ha rappresentato uno schiaffo alla povertà, impedendo di mettere a bilancio una cifra compresa tra i 3,2 e i 5 miliardi di euro. Nonostante ciò, però, il Governo, come contentino, varò un provvedimento di 16 miliardi di euro riguardante l’abolizione della tassa sugli immobili. per i 2/3 dei contribuenti e un pacchetto da 40 miliardi in credito d’imposta per artigiani e piccole imprese. Però, nonostante quest’opera di cortesia da parte del Presidente dei ricchi, il popolo francese ha risposto picche.

Provvedimenti alla mano, sembrerebbe infondata l’idea secondo cui l’esecutivo francese si sia dimenticato di proteggere le classi meno abbienti, vera anima del movimento di protesta. Purtroppo, i poveri non si contano solo dai provvedimenti loro dedicati, bensì da una serie di fattori circoscrivibili alla semplice espressione “chi paga? Cosa paga?”.

Innanzitutto bisogna preliminarmente sottolineare che la tassazione in Francia non è eccessiva come viene dipinta. Secondo i dati della Direzione Generale delle Finanze Pubbliche francese, nel Paese ci sono 37 milioni di contribuenti che pagano le “tasse sociali” (sanità e pensione). Il gettito fiscale, invece, viene gestito per fasce contributive. La tassa sul reddito, dunque, vede escluso il 43% dei contribuenti (ribattezzati “gli impossibilitati”), mentre le fasce superiori (sui 50mila euro) rappresentano il 10,8% dei contribuenti e il 70,4% dei destinatari della tassazione dello Stato. Coloro con un reddito superiore ai 100mila euro, poi, rappresentano il 2% della popolazione francese ma contribuiscono alle entrate nell’erario per il 40,6%. La tassa solidale, già citata e riguardante proprio il gettito fiscale, per la fascia più agiata della popolazione, di solidale non ha un ben niente. I ricchi, odiati già per il fatto di esserlo, contribuiscono al mantenimento della macchina statale più di quanto non si creda. Infatti, oltre all’ISF (tassa solidale), su di loro grava anche un’aliquota al 45%. Paradossalmente i più agiati avrebbero più motivi per protestare rispetto ai gilet gialli. Ma si sa, le persone ricche non protestano, lasciano semplicemente il Paese portando i propri soldi altrove. Macron, eliminando questa tassa, ha tentato di impedire questa migrazione di capitali.

Alla fine della fiera, i gilet gialli stanno protestando per “il nulla cosmico”? Niente affatto. L’opinione pubblica, i media e quant’altro hanno, come spesso fanno, dipinto la situazione in modo superficiale, propagandistico e inetto. In Francia c’è un grande problema, forse comune a tutte le grandi Nazioni globalizzate: il reddito disponibile alle famiglie. La globalizzazione, in tutte le sue sfaccettature, ha portato ad un graduale processo di affermazione del “prezzo comune” per tutte le categorie di beni disponibili a causa della fine dei monopoli statali e privati, ma non ha provveduto a calmierare il resto. Infatti, dal 1959, in Francia, il reddito disponibile è calato del 30% a fronte dell’aumento delle spese fisse che le famiglie devono sostenere (affitto, tasse, bollette…). Se dovessimo “prendere per buone” le cause dei gilet gialli, allora dovremmo considerare quanto incide l’aumento della benzina sul loro reddito, già dimezzato da quel fenomeno sfuggito al controllo statale denominato “globalizzazione”, nella sua accezione economica. La benzina rappresenta il 3% delle spese di una famiglia francese, non molto, ma che se unito al resto (malcontento diffuso e all’abissale differenza di percezione della tassazione diffusa tra le classi sociali), può suscitare sicuramente un serio problema. In poche parole, la scarsa percezione del problema da parte delle élite di Governo, da 60 anni a questa parte, i media e l’opinione pubblica hanno completamente travisato il problema. Inoltre, ad allargare la distanza tra un estremo e l’altro, c’è anche la strumentalizzazione della protesta da parte delle opposizioni che rendono di difficile comprensione il tentativo di dialogo instaurato dal Presidente e i capi della manifestazione.

Dunque, il problema reale è la riduzione del reddito disponibile delle famiglie e non le tasse. E in questo, Macron ha le sue responsabilità. Infatti la sua elezione, oltre a rappresentare l’ultimo bastione contro il nazionalismo di Le Pen, ha consegnato al popolo la facoltà di sperare in una nuova politica, una politica che avesse come obiettivo principale la diretta comunicazione con il popolo. Le speranza dei francesi, però, sono state ancora una volta infrante dalla cruda realtà delle cose. E a quanto sembrerebbe, nemmeno le opposizioni hanno la ricetta giusta. Ad esempio, il programma del partito nazionalista di Le Pen, prevede un aumento del rapporto deficit/PIL e del debito per combattere la povertà diffusa e gli altri problemi della Francia. Bene, il Paese ha un debito pubblico al 96% del PIL e nel giro degli ultimi anni le manovre hanno sforato ripetutamente il 2,5% del rapporto deficit/PIL, non portando alcun benefico al popolo, se non un aumento dell’indebitamento complessivo. Ovviamente, molti ora faranno riferimento alla situazione italiana, ma, come sempre, bisogna saper contestualizzare le diverse situazioni. La Francia, a differenza dell’Italia, non ha bisogno di una manovra espansiva come la nostra. L’economia francese è solida, basti vedere l’affidabilità dei titoli di stato francesi, considerati (quasi al pari di quelli tedeschi) affidabili e redditizi.

Come in tutti i casi, il primo passo per giungere alla soluzione della diminuzione del reddito disponibile per le famiglie, sarebbe ammetterne l’esistenza, studiarlo ed intervenire organicamente. Non è tanto un problema di politica economica governativa, ma di distribuzione degli utili prodotti dal tessuto economico. Questa distribuzione, infatti, va sempre più a favore dell’azionariato e sempre meno a favore del salariato. La precedente affermazione potrebbe essere riassunta in una semplice osservazione: il salariato percepisce uno stipendio medio che non tiene conto degli utili prodotti dal tessuto economico (andazzo dell’economia), e delle variazioni prodotte dall’aumento del costo della vita.

Come affermato precedentemente le cause di questo problema non sono da ricercare, in parte, nel Governo francese. La globalizzazione delle produzioni e dei mercati ha una grande responsabilità. Infatti, se un imprenditore agricolo investe nel settore cerealicolo e ha degli operai salariati, la variazione dei prezzi del mercato dei cereali sarà sentita quasi esclusivamente dagli operai salariati che percepiscono uno stipendio standard. La soluzione strutturale al problema, dunque, non può essere ricercata a livello nazionale per il semplice fatto che un problema del genere è sentito non solo dalla Francia, ma da tutto il mondo.
Come sempre, però, quando si tratta di speculazione finanziaria, interessi economici e lucro, la volontà di trovare una soluzione sembra sparire dagli obiettivi delle organizzazioni internazionali imputate di tale crimine gravoso nei confronti della società.

L’Unione Europea, dal canto suo, amica fraterna del Presidente Francese ha sottolineato come non si possano fare sconti sullo sforamento del deficit (l’Italia lo sa bene) e sull’inadempimento degli obblighi derivanti dall’aumento delle tasse, finalizzato a finanziare le spese europee. Anche l’UE, sembrerebbe aver abbandonato il Titanic francese e la protesta, ora, si sta estendendo anche nei Paesi del Benelux (Belgio, Lussemburgo e Olanda). Dal canto suo, l’UE, da un lato spinge la WTO (Organizzazione mondiale del commercio)  per introdurre un modello “sociale” che tenga presente i modelli economici di retribuzione, dall’altro frena a causa dell’opposizione di USA e Cina, Paesi contrari a garantire più benefici al cittadino a discapito dell’efficienza produttiva.

L’errore imputabile a Macron, in questo caso, è l’aver sventolato i dati della crescita economica come soluzione al problema. L’economia francese, al netto della crescita, non porterà benefici ai redditi delle classi che stanno protestando, anzi. La diminuzione del reddito disponibile è una costante rilevata nei periodi di maggior crescita dell’economia francese. Inoltre, un altro errore, che si spera non accadrà mai, sarà quello di usare i blindati contro il popolo (indiscrezione di qualche ora fa) o di rimuovere il Premier Philippe e nominare un militare (altra indiscrezione).

In poche parole, la protesta dei gilet gialli non è legata soltanto all’aumento della benzina e alle conseguenze che tale tassazione porterà sulla diminuzione del reddito disponibile, ma è anche legata all’insofferenza francese verso il Presidente che aveva promesso di dare una svolta alla politica francese, all’UE decantata come soluzione ma che in realtà risulta più una chimera e alla povertà diffusa nelle campagne transalpine.

Le politiche degli enti sovranazionali e delle organizzazioni internazionali, miranti ad una riduzione della spesa col fine di espandere i proventi economici, le ripetute crisi petrolifere e delle risorse di ogni tipo che hanno di volta in volta aumentato/diminuito il prezzo dei beni e le speculazioni finanziarie, hanno provocato dei focolai rivoluzionari che rivendicano sovranità, indipendenza ed equità. Il modello espansivo e senza controllo della globalizzazione economica, che dagli anni ’80 in poi ha fatto a meno del controllo statale, ha portato i mercati ad impazzire con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Il problema della riduzione del reddito disponibile non è solo francese, come sottolineato in precedenza, ma è sentito nella maggior parte dei Paesi industrializzati che guardano più al profitto che ai propri cittadini. Infatti, la protesta dei gilet gialli, ha abbracciato anche altri Paesi ed è seguita con particolare interesse anche dagli italiani. Nel nostro Paese, a differenza della Francia, la tassazione ha aggravato la riduzione del reddito. I Governi, di destra e sinistra, non sono riusciti ad identificare il problema e hanno spinto in ben altre direzioni. Una soluzione a livello nazionale (e internazionale), forse non esiste. Ciò che si può toccare con mano, invece, come la povertà e il peggioramento del proprio tenore di vita a causa del rincaro dei prezzi dei beni che tutti i giorni la popolazione acquista nei negozi, c’è e si vede.

L’Italia, infatti, a causa della povertà, della disoccupazione, della mancanza di equità e dei problemi provocati da una miriade di scelte politiche inconcludenti e nocive (come, negli anni ’80, dar vita alla spirale del debito che avrebbe portato all’indebitamento delle generazioni future), si è affidata ad un Governo che da molti è considerato come un esecutivo sovranista.

Il sovranismo è, manco a farlo apposta, un neologismo che sta ad indicare la rivendicazione popolare della sovranità nazionale, contro le dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione all’internazionalismo propugnante la cessione di parti della propria sovranità. In parole povere, tale ideologia politica si oppone al trasferimento di poteri e competenze dallo Stato Nazionale ad un organo internazionale. I cittadini, infatti, intrisi di concetti identitari, si pongono in netta contrapposizione all’influenza di qualcuno/qualcosa che non faccia parte della propria cultura nazionale.

L’accezione negativa di “sovranismo” con cui viene identificato l’esecutivo giallo-verde, deriverebbe dalla visione negativa in epoca globalizzata della rivendicazione di sovranità da parte del popolo. Ovviamente, l’ascesa di questo esecutivo deriva, evidentemente, dal fallimento delle politiche precedenti, di destra o sinistra, dovuto alla distanza “di vedute” della classe dirigente e del popolo. Infatti, la destra, campeggiata da Berlusconi ha prodotto circa 41 leggi ad personam per sistemare gli affari del Cavaliere (es. lodo Alfano e legge Ex Cirelli), lo spread (pilotato meno) a più di 500 punti e una disastrosa gestione della crisi economica del 2008 e del 2011 (debiti sovrani). La sinistra, invece, ha dapprima combattuto il fenomeno del berlusconismo, dimenticandosi dei diritti degli operai e delle loro condizioni, e poi si è posta a difesa dei banchieri promuovendo dei provvedimenti che salvassero le grandi banche a discapito dei risparmi degli italiani. Ora, inoltre, l’attuale sinistra italiana è rimasta senza leader, alla perenne ricerca della propria identità, però, stando alle continue dichiarazioni, sembrerebbe avere la soluzione pronta per salvare il nostro Paese dal baratro e a risanare la situazione economica…

Ovviamente l’aumento del raggio della forbice economica non si può imputare ai singoli Governi, nemmeno ad una serie di esecutivi incapaci e inadatti come quelli precedenti (e si spera che anche questo non lo sia). Il capitalismo selvaggio (iper-capitalismo), la globalizzazione sfrenata che si è presa i mercati e ha aumentato il divario tra ricchi e poveri, non ha trovato dei politici nazionali, ma soprattutto europei, a fronteggiare la situazione. La morale comunitaria, di una politica comune ed equa, di una protezione economica che avrebbe ridotto i divari e rafforzato il sentimento identitario, non ha funzionato e non funzionerà. Soprattutto se l’UE non si imporrà al WTO per garantire una protezione per i propri cittadini. Accennai in precedenza che gli USA e la Cina sono contrari ad un modello sociale, l’UE ha il compito di portare alla luce l’esistenza di questo problema del capitalismo selvaggio che si pensava, avrebbe risolto tutte le imperfezioni del mercato e non solo.

E se tali problemi non verranno affrontati, i sovranismi e i movimenti contrari a queste nuove regole dettate dalle multinazionali e dai soggetti non rispondenti alla classica definizione di Stato (popolazione, territorio e organizzazione di Governo), saliranno al potere per soddisfare i propri interessi, la propria bramosia di comando, distruggendo un modello che da un lato, a causa dello scarso controllo politico ha portato a creare delle differenze abissali, ma che dall’altro lato ha senz’altro generato un sostanziale aumento della ricchezza e del benessere.

Cosa fare allora? Da un lato la globalizzazione è un processo senza ritorno, non può essere modificato, i proclami europei stampati su carta relativi all’uguaglianza non servono a nulla, ma dall’altro l’accezione capitalistica derivante dalla globalizzazione, quella selvaggia e senza controllo, a lungo andare aumenterà sempre di più le differenze tra le varie classi sociali, generando malcontento.

Una soluzione condivisa per il problema, per ora, non esiste, innanzitutto bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di ammetterne l’esistenza. Alcuni economisti spingono nella direzione del controllo statale di ampi settori dell’economia o nella direzione di un ente del commercio sgombro da intenzioni speculative.

La globalizzazione non è il problema, nemmeno il capitalismo. Come in tutte le cose, l’esagerazione e il mancato controllo sono le distorsioni pericolose. 

Resta il fatto che soltanto dei seri interventi a livello internazionale, potrebbero portare nella direzione giusta. Il Governo, oltre che dei piccoli provvedimenti strutturali, di più non può fare. La morale europea e globalista che sottolinea come le differenze si siano ridotte con il modello globale capitalistico dei commerci, della circolazione e dei mercati, non può ancora essere propugnata come verità assoluta. I difetti e le incapacità del mercato di provvedere alle sue imperfezioni sono emersi durante la crisi del 2008, e le differenze tra le varie classi sociali sono riemerse e si sono allargate. Urge una seria discussione e dei provvedimenti facenti capo alla WTO, l’Occidente industrializzato e competente è chiamato in causa per portare alla luce un problema globale.

Che l’UE agisca, che il mondo agisca. 

Donatello D’Andrea