Clima, l’Italia arretra fra Paesi nemici del riscaldamento globale

Effetti del riscaldamento globale, tronco di albero sulla riva del mare. Cop24
Alla Cop24 protesta contro Usa.

KATOWICE. – Nella lotta contro il riscaldamento globale l’Italia arranca, e perde sette posizioni scendendo al 23/o posto nella classifica sulle performance climatiche dei principali paesi del mondo. A dirlo è l’annuale rapporto di Germanwatch, nel giorno in cui la contrapposizione fra combustibili fossili e il ruolo della finanza tiene banco alla Conferenza Onu sul clima (Cop24) in una Katowice dal cielo plumbeo. Giorno in cui sono cominciati ad arrivare i ministri di circa 200 paesi che dovranno sbloccare i punti di stallo dei negoziati – sintetizzati in ambizione, finanza e trasparenza – in modo da raggiungere un’intesa entro fine settimana.

I nodi riguardano innanzitutto la finanza, con gli investimenti necessari per sostenere le azioni contro i cambiamenti climatici sia da parte dei paesi ricchi sia da tutti gli altri, che sono poi i più ambiziosi, e poi il Rulebook, con le regole concrete da mettere in campo per contenere entro 1,5 gradi l’aumento medio della temperatura globale entro fine secolo rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito con l’Accordo di Parigi del 2015.

Il rapporto di Germanwatch (fatto con il network di ong Can-Climate action network, NewClimate Institute e Legambiente) che prende in considerazione 56 paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme contribuiscono al 90% delle emissioni globali, dice che l’Italia “nonostante una buona performance nell’uso di energia, ha rallentato lo sviluppo delle rinnovabili e non ha una politica climatica nazionale adeguata agli obiettivi di Parigi. Le emissioni nel 2017 sono diminuite solo dello 0,3% rispetto al 2016 con una riduzione solo del 17,7% rispetto al 1990”.

Vuoti i primi tre posti perché nessun Paese ha raggiunto gli standard adeguati, al quarto c’è la Svezia, l’Unione europea è salita dal 21/o al 16/o, gli Usa sono scesi dal 56/o al 59/o e l’Arabia Saudita si è piazzata in coda, al 60/o per l’ostruzionismo durante le negoziazioni. Le città e le regioni europee, responsabili del 70% delle emissioni di gas serra dell’Ue, come altre realtà locali nel mondo, ritengono di essere “la soluzione”, o quantomeno una parte determinante: fanno interventi per contenere il global warming ma lamentano che i governi nazionali non monitorano i loro contributi e i progressi conseguenti.

Il Comitato europeo delle Regioni (che ne rappresenta 350 dei 28 Paesi Ue) chiede un coinvolgimento maggiore nei negoziati: che nel Rulebook (le norme attuative dell’accordo di Parigi) sia inserito un sistema di contributi regionali e locali (Rldcs) integrativi a quelli nazionali e vuole un riconoscimento formale. All’unico evento degli Usa oggi alla Cop24, peraltro a supporto dei combustibili fossili (che è un controsenso rispetto ai negoziati ma in linea con l’amministrazione Trump), oltre un centinaio di giovani, fra appartenenti a ong e osservatori, ha protestato chiedendo la fine dell’estrazione di carbone, petrolio e gas naturale.

Intanto la moda è scesa in campo con alcuni big lanciando la ‘Carta per sostenibilità’ per ridurre l’impatto dell’intera filiera sull’ambiente mentre oltre 400 gestori patrimoniali, tra cui importanti fondi pensione e compagnie assicurative con asset per 32mila miliardi di dollari, hanno chiesto ai governi mondiali di eliminare gradualmente le centrali a carbone e di assegnare un prezzo “significativo” alle emissioni di carbonio.

(dell’inviata Stefania De Francesco/ANSA)