May a mano tesa in Europa: “Ma l’intesa Brexit non si tocca”

Il Primo Ministro Theresa durante una riunione al consiglio d'Europa. Brexit
Il Primo Ministro Theresa durante una riunione al consiglio d'Europa. EPA/OLIVIER HOSLET

LONDRA. – Stavolta il comunismo non c’entra nulla. Lo spettro che si aggira per l’Europa ha le sembianze conservatrici di Theresa May, alla ricerca affannosa, in tour per il continente, di qualche concessione supplementare dall’Ue – fra porte chiuse o semichiuse – per provare a rimettere in carreggiata l’accordo sulla Brexit, dopo l’umiliante slittamento in extremis del voto sulla ratifica parlamentare, di fronte a una bocciatura ormai certa a Londra, e il rinvio della resa dei conti a un futuro approssimativo: “prima del 21 gennaio”.

Arrivata nel pomeriggio a Bruxelles a conclusione di una girandola di incontri – in mattina all’Aia con Mark Rutte, a pranzo a Berlino con Angela Merkel e compagni – la premier britannica ha incassato qualche mano tesa e manifestazioni di comprensione, ma anche le preventivate dichiarazioni ufficiali di fermezza sul fatto che l’intesa sottoscritta – nella sua voluminosa sostanza di 585 pagine – “non si tocca”.

“E’ l’unica sul tavolo”, come ha ribadito il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker. E non è rinegoziabile, come le ha ricordato faccia a faccia la cancelliera Merkel, all’unisono con altri. “Vogliamo aiutare, la questione è come”, ha concesso il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, sforzandosi di lasciare aperto un mezzo spiraglio, dopo un confronto con l’ospite d’oltremanica definito peraltro “franco”: aggettivo che in diplomazia si usa quando la quadratura del cerchio non c’è.

O almeno non c’è ancora, a dar retta a May la quale ai giornalisti di casa sua spiega che i nuovi colloqui sono “solo agli inizi”, giurando che la volontà di venirsi incontro “è condivisa” dagli interlocutori e insistendo sull’esigenza di una qualche “rassicurazione ulteriore” per allontanare anche la sola ipotesi teorica d’entrata in vigore del backstop: il meccanismo vincolante di salvaguardia del confine senza barriere fra Irlanda e Irlanda del Nord visto come fumo negli occhi da molti deputati della lacerata maggioranza parlamentare britannica.

Le indiscrezioni più ottimistiche fanno riferimento a un possibile documento allegato, giuridicamente spendibile, che garantisca Londra sulla natura “temporanea” di questo strumento: un salvagente cruciale – e chissà poi se sufficiente – per la signora di Downing Street, che domani sonderà al riguardo a Dublino il premier irlandese Leo Varadkar: parte in causa e titolare dell’ultima parola sulla materia in sede Ue.

Ma la verità è che tutto resta appeso a un filo. Tanto da far tornare all’orizzonte l’ombra del ‘no deal’. Un traumatico divorzio senz’accordo che fa paura a molti, ma di fronte al quale comunque il governo May “intensifica i preparativi” e l’inquieta Francia di Emmanuel Macron afferma di volersi “blindare”.

A Londra, del resto, ad aspettare il ritorno della premier sul piede di guerra sono in molti. Nel Partito Conservatore riprendono fiato le voci di una potenziale sfida alla sua leadership da parte dei falchi brexiteer più oltranzisti. E si scatena una mezza rissa anche fra il governo e lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, sospettato di non essere abbastanza imparziale dalla stizzosa ministra Andrea Leadsom.

Mentre le opposizioni – pur divise sui tempi d’una mozione di sfiducia contro l’esecutivo e sulla scommessa preferenziale fra l’opzione delle elezioni anticipate e quella di un referendum bis come alternativa al caos – tuonano contro la vaghezza delle rassicurazioni sulla scadenza limite del 21 gennaio per un nuovo voto di ratifica dell’accordo. “Basta rinvii e trucchi – intima da Westminster il leader laburista Jeremy Corbyn -, il primo ministro permetta al Parlamento di votare o se ne vada”.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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