La Manovra del Popolo: la direzione è quella giusta?

Uno dei momenti più simbolici della votazione è stato lo scontro avvenuto in aula tra i senatori del M5S e del PD, sedato dal Presidente del Senato Casellati (FOTO IL MESSAGGERO).

Le settimane precedenti hanno visto il Governo impegnato istituzionalmente su diversi fronti: in Europa, la battaglia con la Commissione ha portato i suoi frutti, mentre in Italia il ruggito dell’opposizione nulla ha potuto nei confronti della decisa volontà della maggioranza governativa di approvare la legge di bilancio, al Senato, e di lanciare una riforma anticorruzione che, secondo i Cinque Stelle, mancava da Tangentopoli.

Il culmine è stato raggiunto la notte tra il 21 e il 22 Dicembre, allorquando i senatori hanno dovuto votare un maxi-emendamento saltando la discussione in commissione bilancio. Infatti, il provvedimento arrivato in Senato, è stato appositamente previsto di “fiducia”, eliminando ogni possibilità per l’opposizione di discuterlo. I senatori del Partito Democratico, una volta presentato l’emendamento, hanno deciso di abbandonare l’aula per protesta. Un gesto plateale, quello del Governo, di bypassare un iter entrato nella consuetudine istituzionale, come se si volesse sottolineare l’inutilità di un organo costituzionalmente garantito. Ovviamente in una democrazia “intelligente” l’opposizione, invece di intonare cori da stadio, avrebbe dovuto mantenere il suo ruolo e la sua rigidità istituzionale per denunciare civilmente e politicamente il gesto compiuto dall’esecutivo.  “La trasgressione politica” compiuta dal Governo è parsa, invece, come un trionfo contro “i rosiconi” del PD e FI.

Al di là del contenuto, condivisibile o meno, della manovra, ad una prima lettura sembrerebbe che il Governo abbia inserito nel maxi-emendamento una serie di provvedimenti mirati alla ricerca disperata di “liquidità” per finanziare i due capisaldi del contratto di Governo: la quota cento e il reddito di cittadinanza.

Inoltre, oltre i finanziamenti finalizzati alla gestione dell’emergenza buche di Roma, il testo contiene i tagli all’editoria, annunciati con estrema soddisfazione dal Ministro Di Maio, una sanatoria per gli indebitati che versano in cattive condizione economiche (i debiti di coloro che versano in una cattiva situazione economica verranno fortemente ridotti), l’eco bonus dal valore di 6000 euro per coloro che decidono di affidarsi ad una macchina elettrica ad emissioni 0, la supertassa per le auto di lusso o con una grande cilindrata, l’eco-tassa spettante a delle auto che, a seconda della fascia di emissione, producono più inquinamento. Insomma, la manovra, al di là dei decantati cavalli di battaglia elettorali, contiene una miriade di provvedimenti che dovranno necessariamente vedere la luce nel 2019.

Tra questi, però, manca la riduzione delle accise sulla benzina. Annunciata dal Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, non ne ha più fatto menzione nei mesi successivi. Le motivazioni sono racchiuse in una semplice ma altrettanto facile frase: “non possiamo permettercelo”. La riduzione delle accise, a meno di capovolgimenti imprevisti, non ci sarà mai perché al nostro Stato serve liquidità per mantenere le promesse elettorali. Infatti il superamento della scellerata Fornero, redatta e promulgata in un periodo di profonda crisi ma ingiustificata nel lungo termine, e il reddito di cittadinanza sono misure dispendiose che richiedono diversi miliardi di euro, difficilmente reperibili.

Queste due misure, oltre a spingere il Governo Conte a giocare sull’aumento del deficit nel braccio di ferro con l’Unione Europea, hanno provocato una serie di ritocchi all’interno della legge di bilancio come la proroga delle clausole di salvaguardia al 2020, la web tax e l’eco-tassa di cui si è già accennato.

Le più preoccupanti, ovviamente, sono le clausole di salvaguardia. Nate con la crisi dei debiti sovrani del 2011 e portate in Italia nell’agosto dello stesso anno dal Governo Berlusconi per far fronte all’impennata della crisi economica, le clausole prevedono un automatico aumento delle imposte indirette (IVA e delle accise sulla benzina) nelle situazioni di difficoltà dovute alla salvaguardia dei vincoli UE di bilancio dalle spese previste. In poche parole sono una promessa contratta tra il Governo Italiano e l’Unione Europea affinché il primo rispetti i vincoli comunitari e riduca il debito. Nel corso degli anni l’obiettivo di qualsiasi Governo era quello di trovare diversi miliardi di euro (tra i 12,5 e i 19,5 miliardi) per sterilizzare – scongiurare – l’aumento dell’IVA.

Ecco, i Governi precedenti hanno cercato di sterilizzare l’aumento dell’aliquota fissa, concentrandosi a seconda del periodo, sulle accise dei carburanti. Il Governo Berlusconi, in piena emergenza, portò l’aliquota fissa al 21%, il Governo Letta al 22%. Ovviamente, stiamo parlando dell’imposta fissa ordinaria (al 22%), dunque, bisognerebbe distinguere questa da quella ridotta (per i servizi, al 10%) e da quella minima (per i beni di prima necessità, al 4%).

In poche parole, da quanto si può ben capire, se nel caso l’Italia non mantenesse un impegno preso con Bruxelles, le clausole di salvaguardia aumenterebbero automaticamente, facendo aumentare l’IVA e le accise e di conseguenza anche il prezzo dei beni. Un impegno potrebbe essere rappresentato, ad esempio, dalla diminuzione del deficit o da obiettivi previsti dalla manovra finanziaria nei confronti della Commissione Europea. Non è un segreto che se ci fosse un aumento dell’IVA i consumi si contrarrebbero.

Per scongiurare l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, l’attuale esecutivo dovrebbe estrarre dal cilindro ben 12 miliardi di euro senza toccare le accise (se non per aumentarle). Nell’attuale legge di bilancio, l’aumento dell’Iva è stato scongiurato grazie al reperimento di 19,5 miliardi di euro da parte del Governo precedente. Ma nei disegni del decaduto Governo Renzi, per il periodo 2018-2019-2020, le aliquote ordinarie e ridotte avrebbero dovuto essere poste al 25,4% e al 12%.

Il secondo maxi-emendamento presentato al Senato, riporterebbe la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia per il 2019. Infatti, nel suo discorso, il Presidente Conte avrebbe assicurato che prima della fine del prossimo anno avrebbe discusso con i vertici dell’Unione su un’eventuale revisione delle clausole per il periodo 2020-2022.

In ogni caso, sarà davvero molto difficile riuscire a trovare diversi miliardi di euro (circa 23 secondo le prime stime), per scongiurare un repentino, distruttivo e automatico aumento dell’IVA per il 2020. Perché? Per il semplice motivo che il Governo Conte, secondo quanto detto dal Commissario Europeo Dombrovskis, avrebbe trovato parte delle coperture necessaria per la realizzazione di provvedimenti strutturali (e per salvarsi dalla procedura di infrazione) solo grazie all’aumento previsti dell’IVA. Inoltre, si leggono aumenti dei proventi derivanti dalle accise sui carburanti (400 milioni), tra il 2020 e il 2022.

L’aumento delle imposte fisse sarebbe distruttivo nei confronti dei consumatori e contrarrebbe enormemente la volontà delle famiglie di spendere e degli investitori di immettere capitale all’interno del nostro Paese. Si spera che i 23 miliardi, cifra maggiore rispetto agli anni precedenti, possano risultare reperibili in un altro modo, in un modo che non venga coinvolto il mercato e la possibilità dei consumatori di poter contribuire alla ripresa dei consumi. Le manovre governative, in un Paese in deficit commerciale ed economico, dovrebbero servire per incentivare i consumi e non per contrarli ulteriormente.

A quanto pare, nel prendere questa decisione il Governo ha messo da parte la lungimiranza e il buonsenso per fare spazio alla propaganda e al consenso elettorale. Ciò però è spiegabile, ma non giustificabile, nella necessità di tener fede alle promesse elettorali che hanno rappresentato il cavallo di battaglia di Salvini e Di Maio durante la campagna per le elezioni dello scorso anno. La pressione di un elettorato esigente, unita alla volontà di schiacciare definitivamente le opposizioni hanno spinto verso una direzione molto pericolosa che potrebbe avere delle serie conseguenze sul popolo italiano.

La “manovra del popolo”, potrebbe diventare la “manovra contro il popolo”.

E ciò non è detto con il fine di screditare l’attuale esecutivo, poiché se quei 23 miliardi riuscissero ad essere reperibili senza compromettere il welfare o aumentare l’IVA, sarebbe un successo senza precedenti nella nostra storia e il Governo meriterebbe soltanto dei complimenti. Purtroppo, i miracoli sono rari in politica, soprattutto quando si cerca di estrarre 23 miliardi di euro da un fantomatico cilindro senza toccare i cittadini.

La corsa al consenso, dunque, potrebbe spingere il nostro Paese verso un profondo precipizio. Però, non tutto è perduto. Una manovra di politica economica espansiva, se correlata di fiducia, potrebbe dare una spinta ai consumi e agli investimenti tale da poter sorprendere in positivo. L’austerity, sicuramente, non è la direzione da seguire né ora né mai poiché i servizi italiani, a partire dalla sanità (salvo alcune eccellenze), sono stati pesantemente ricondizionati dalla politica del risparmio inaugurata dal Governo Berlusconi pre-crisi e dal Governo tecnico guidato da Mario Monti. Per scongiurare l’aumento dell’IVA al 25,2% per il 2020 e al 26,5% per il 2021-2022, la nuova legge di bilancio dovrebbe seriamente rimettere in moto la nostra economia.

Un altro punto controverso inserito all’interno del bilancio da parte del Governo Conte è il deciso e irreversibile aumento delle tasse alle organizzazioni non-profit, al volontariato e alle attività simili. Questo perché nell’immaginario comune, un’organizzazione di volontariato è vista e demonizzata come un’occasione per lucrare sulle difficoltà della popolazione. Questione opinabile, ovviamente, ma, confermando quanto detto da alcuni eminenti esponenti del giornalismo italiano, quest’azione potrebbe rappresentare un autogol nei confronti dell’elettorato che avrebbe preferito un controllo più severo e imparziale su tali organizzazioni e non una generalizzazione meschina e precipitosa come questa. Infatti, le agevolazioni IRES, di cui hanno beneficiato le organizzazioni come la Croce Rossa, verranno sospese per il semplice motivo che queste verranno equiparate a delle aziende normali, tassate con un’aliquota del 24% (e non più 12%). Un pugno nello stomaco non solo per le associazioni non-profit ma anche per coloro che si vedranno privare dei servizi messi a disposizione. Sicuramente, sarebbe stato più giusto e redditizio incentivare i controlli che distruggere l’intero Terzo Settore.

Ciò che preoccupa la maggior parte degli economisti, sia nazionali che internazionali, è la forte riduzione degli investimenti. La stima è molto chiara: si passa dai 9 miliardi in tre anni ai 3,6 miliardi dei prossimi tre. Il fondo istituito presso il Ministero dell’Economia passerà dai 3000 milioni previsti dal modello originale a 740 milioni di euro. Non si conosce la motivazione precisa di un tale gesto, se non in quello di prendere fondi da ogni dove per finanziare le promesse elettorali, magari non facendo caso a ciò che si sacrifica e alla sua importanza.

La Web Tax, invece, potrebbe essere qualcosa di utile. In sostanza si tratta di tassare, al 3%, le multinazionali del gigantesco mondo di internet (Facebook, Twitter…). La ricerca di “utili” per la manovra si sposta sul web e spera che i “grandi del web“, mai toccati da alcuna tassa, possano contribuire a salvare i conti dell’erario dallo spettro delle clausole di salvaguardia. In poche parole le aziende italiane dovranno trattenere sulla fattura, derivante da una transazione con un soggetto fornitore di servizi digitali, l’imposta del 3% e versarla al fisco. Il sogno di ogni consumatore sarebbe quello di proporre una legge che imponga un regime di concorrenza anche sulla vendita di servizi digitali, però in questo caso, si potrebbe aggiungere che la Web Tax non dovrebbe poi provocare necessariamente il rincaro del costo dei servizi da garantire al consumatore (magari tramite “oneri di sistema”).

L’entusiasmo dell’esecutivo non è solo derivante dalla “vittoria contro l’Europa”, ottenuta recentemente con la riduzione del deficit dal 2,4% al 2,04%, presumibilmente senza intaccare il mantenimento delle promesse elettorali (anche se si è passati da 13 miliardi previsti per il reddito di cittadinanza agli attuali 6,7 mettendo in serio dubbio la portata di questo provvedimento), ma anche dal più recente decreto spazza-corrotti. La legge contiene le misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, le norme sulla prescrizione del reato e sulla trasparenza dei partiti e movimenti politici.

La legge, al suo interno, conterrebbe la sospensione a vita dei corrotti dagli uffici pubblici, la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e degli obblighi più stringenti di rendicontazione per partiti, movimenti politici e fondazioni ad esso collegate.

Il provvedimento appare severo e di un’irreversibilità unica nei confronti di coloro che sono colti nel commettere tale reato. Infatti non sono previste pene alternative per coloro che vengono condannati per reati contro la pubblica amministrazione, peculato, concussione e corruzione.
L’unica causa di non punibilità è prevista per gli agenti sotto copertura e per coloro che, prima di essere indagati, denunciano il misfatto e permettono l’arresto dei complici.

Inoltre le donazioni verso i partiti, le fondazioni ad esso collegate e i movimenti politici devono obbligatoriamente essere rese pubbliche se, fornendo anche i dati correlati dei contribuenti, sono superiori ai 500 euro. Anche le liste dei comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti devono fornire tali documentazioni.

Insomma, un provvedimento finalmente serio all’insegna della trasparenza e dell’onestà. La corruzione è un problema che lacera il nostro Paese dai tempi di Roma Imperiale ed era ora che un partito, al di là di qualsiasi schieramento, se ne accorgesse. Stranamente, alla votazione non hanno partecipato i deputati di Forza Italia.

In ultima istanza, credo sia doveroso dedicare qualche riga al giovane collega scomparso a causa della scelleratezza umana e della violenza ingiustificata che attanagliano alcune società e tiene loro lontane da qualsiasi richiamo alla civiltà. Sto parlando del giovane Antonio Megalizzi, il convinto reporter di Europhonica caduto vittima nell’ormai celeberrimo attentato di Strasburgo. La sua prematura scomparsa è stata un duro colpo non solo per l’Italia ma per tutta la giovane generazione Erasmus cresciuta con il mito di un’Europa aperta e sicura, cosmopolita e accessibile; è stato un duro colpo alla vita occidentale e alle passioni di giovani ragazzi che nel tentativo di raccontare l’integrazione europea e il superamento delle barriere cadono nell’imboscata delle arcaiche barbarie legate al fanatismo religioso, un male non solo per la civiltà occidentale ma per il mondo intero! Gli eventi di questa guerra asimmetrica compiute in nome di qualsiasi ideale o territorio, coinvolgono sempre vittime innocenti nel tentativo di colpire il cuore pulsante dell’Occidente: la quotidianità.

Si spera che la nostra società, colpita nel profondo, possa riprendersi al più presto da questo colpo basso, dovuto non solo a motivi religiosi ma anche culturali e storici, ma di sicuro non legati alle vicende del nostro caro Antonio.

Colgo l’occasione per augurare un Sereno Natale e un Felice Anno Nuovo a tutti i lettori de “La Voce d’Italia”.

Donatello D’Andrea

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