Gli scricchiolii della maggioranza che non faranno cadere il Governo

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Governo
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si sta confermando come il vero valore aggiunto del Governo del Cambiamento. FOTO ANSA

Il clamore mediatico suscitato dagli ultimi avvenimenti, non ha minimamente intaccato la maggioranza di Governo. Entrambi i Vicepresidenti del Consiglio, spinti dal “desiderio del consenso”, non hanno alcun interesse di porre fine all’esperienza del “governo del cambiamento”. Sarebbe controproducente…

Infatti, al di là dell’opposizione blanda, inconsistente e sempre più alla canna del gas, lo spettro delle Europee sembra essere l’unico vero spauracchio per l’attuale esecutivo. Salvini e Di Maio, nonostante le divergenze di cui si son resi protagonisti negli ultimi giorni, stanno stringendo i denti cercando di intercettare più voti possibili per i prossimi cinque mesi di Governo. Ogni dichiarazione sarà misurata in vista delle votazioni di Strasburgo.

I dissapori e le incomprensioni, di cui si rendono giornalmente protagonisti i due leader, non sembrano intaccare il consenso di cui godono, o meglio, non sembrano ri-legittimare le opposizioni. Infatti, secondo gli ultimi sondaggi, a fronte di un calo dello 0,8% della Lega e dello 0,2% del M5S, il 74% degli italiani ritiene che il lavoro svolto da PD e FI sia altamente insufficiente.

I dissidi e le periodiche crisi di governo, non sembrano costituire un valido motivo per ritornare a votare “quelli di prima”. La supponenza, la presunzione e la mancanza di argomenti identificano il modus operandi delle opposizioni. Inoltre, le continue uscite infelici di eminenti esponenti del Partito Democratico, rendono ancor meno credibile la posizione di quello che dovrebbe essere uno strumento politico di grande valore istituzionale. Strumento reso ancor meno credibile da alcuni episodi che, ormai frequentemente, vedono protagonista il cantante, lo chef o lo scrittore di turno. Il ridurre in caciara qualsiasi argomento (anche serio) non è sicuramente il miglior modo di fare share, di ottenere visibilità o di vendere qualche libro in più. Un’opinione non si nega a nessuno, ma queste devono essere misurate in base al luogo e al contesto in cui vengono espresse.

E in tutto questo, tra una dichiarazione e l’altra, Salvini e Di Maio stanno tastando la consistenza della loro credibilità e influenza anche all’estero. Mentre la Lega strizza l’occhio agli enigmatici e inaffidabili sovranisti polacchi e ungheresi, il Movimento Cinque Stelle si muove tra la Francia (con i gilet gialli) e gli Stati Uniti.

Nel mentre, il Presidente Giuseppe Conte, considerato un burattino dai mass media di sinistra, sta invece mostrando una certa libertà d’azione e una certa autonomia all’interno e all’esterno delle mura di Palazzo Chigi. Infatti, molto scalpore, politico e umanitario, ha suscitato la decisione di far sbarcare i migranti della Sea Watch in Italia (passando per Malta), dopo il secco “no” del Ministro dei Porti Chiusi, Matteo Salvini.

Innanzitutto, è bene fare una premessa: l’immobilismo e l’ipocrisia degli attori coinvolti (UE e Malta) è stato davvero disarmante. Dal “non voglio creare un precedente” del Primo Ministro Maltese, Muscat, al silenzio della grande istituzione sovranazionale, hanno confermato, ancora una volta, l’opportunismo e il buonismo di quella che De Gasperi, erroneamente, percepì come una grande famiglia. L’autorizzazione allo sbarco è arrivata soltanto dopo l‘opera di cucitura operata dal diplomatico Presidente Conte con la Commissione Europea e, soprattutto, dopo l’intervento della Chiesa Valdese. Alla fine della fiera i malaugurati migranti verranno ridistribuiti tra 8 Paesi, anche se, molto probabilmente, non tutti rispetteranno la parola data. I tempi di distribuzione saranno lunghi, soprattutto perché Malta vorrebbe aggiungere ai migranti appena sbarcati, 49, anche quelli salvati da una motovedetta nei giorni scorsi (131).

Ancora una volta, il Presidente del Consiglio, si è mostrato il valore aggiunto e la bilancia fondamentale del Governo. In barba al suo ruolo di mediatore apolitico tra le due forze della maggioranza, e quindi formalmente più debole, il professore di diritto si è confermato, attraverso la sua abilità mediatrice, un ottimo comunicatore sia nei confronti dell’elettorato, sia nei confronti delle istituzioni sovranazionali. Molto differente dalla comunicazione politica salviniana, aggressiva, la comunicazione del Presidente Conte è molto più istituzionale. L’understatement, ironico e mirato, del Premier è diventato il marchio di fabbrica di tutto ciò che esce, sotto forma di dichiarazione o comunicato, da Palazzo Chigi.

Una differenza, tra i due modi di relazionarsi con la stampa, con gli elettori e con le istituzioni, tra i due abilissimi comunicatori di questo Governo, è possibile coglierla nella vicenda dei “sindaci dissidenti”. L’episodio, che ha visto coinvolta l’ANCI (l’Associazione dei Comuni italiani) e in particolare i sindaci di tre città importanti (Milano, Palermo e Napoli) ha suscitato delle emozioni contrastanti all’interno dell’elettorato leghista, grillino e di sinistra. Se da un lato i cittadini dei comuni interessati si mostrano in disaccordo con i propri sindaci, contrari al decreto sicurezza e a favore dell’accoglienza senza controllo, le opposizioni e chi ne fa le veci appoggiano indistintamente il polverone mediatico creato dai Sala, De Magistris e Orlando di turno. Le minacce di disobbedienza al decreto sicurezza, contenente provvedimenti restrittivi che non escludono però l’integrazione di chi ne ha volontà, non sono sicuramente il miglior modo per dialogare con l’istituzione ministeriale promotrice del provvedimento. La legge va rispettata e se ci sono dubbi relativi alla sua “legittimità”, questi dubbi vanno posti nelle sedi più opportune. Altrimenti, gli interrogativi che potrebbero sorgere, sarebbero di ben altra natura…

Bene, la differenza tra i due modi di relazionarsi con i sindaci, in questo caso, tra Salvini e Conte sta nell’atteggiamento adottato nei confronti dell’ANCI. Salvini si è mostrato aggressivo, è intervenuto duramente sottolineando come il decreto sicurezza sia stato controfirmato dal Presidente della Repubblica. I tweet del Ministro, aventi il preciso obiettivo di creare consenso, non hanno lasciato nemmeno uno spiraglio di confronto o di incontro tra le parti. Invece, il Presidente Conte si è mostrato molto più diplomatico e garbato del leghista, invitando i sindaci a Palazzo Chigi per discutere sui possibili scenari modificatori che potrebbero configurarsi sul decreto sicurezza. La differenza tra i due metodi comunicativi paiono evidenti: il valore aggiunto di questa legislatura è proprio il consenso, l’ammirazione e l’approvazione esercitata dall’istituzionalità del Presidente del Consiglio e dalla sua ferrea volontà di trovare una soluzione che non destabilizzi le istituzioni del Paese.

Il lavoro del Primo Ministro, però, a causa della malasorte, è vertiginosamente aumentato con il caso Carige. Il salvataggio della banca genovese, ha provocato lo sdegno di una parte dell’elettorato perché entrambi i partiti di governo nella loro campagna elettorale si erano prodigati affinché non si fossero più impegnati soldi pubblici per salvare i “dannati banchieri”. Purtroppo per Salvini e Di Maio –e per le opposizioni-, le banche non sono soltanto gli investitori a 5 o 6 zeri, ma sono soprattutto la gente comune, quella per cui il M5S e la Lega hanno fatto campagna elettorale. Bisogna comunque sottolineare due importanti punti: non è ancora stato erogato un centesimo per il salvataggio e che il salvataggio era necessario. Per il secondo punto, l’intervento dello Stato si inserisce nel quadro di non far andare a secco di liquidità la banca, immettendo moneta se strettamente necessario, e nel caso non ci siano benefattori in grado di ricapitalizzarla. Le differenze, sostanzialmente, stanno nelle intenzioni: un salvataggio è pur sempre un salvataggio, anche se da un lato si mira a salvare la “famiglia” dall’altro i risparmiatori. E’ innegabile che le cose, in un certo senso, si mischino inconsapevolmente. Non c’è nemmeno bisogno di parlare di nazionalizzazione della banca, poiché obbligatoriamente se lo Stato investe in una banca diventa azionario della stessa. Bisognerebbe, invece, sottolineare come gran parte della responsabilità del semi-fallimento della Banca Carige sia attribuibile all’Unione Europea e alla scellerata vigilanza della BCE. La speculazione sui nostri bond ad opera della Banca Europea, posta come “commissario bancario” ha ridotto la banca Carige, e le altre banche nazionali, sul lastrico.

La Banca Carige non è stata l’unica occasione di attrito all’interno del Consiglio dei Ministri italiano.

La TAV Torino-Lione, celeberrimo caso di opera all’italiana, è stata definitivamente bocciata dalla Commissione ad hoc costi-benefici. Il progetto della linea AV (Alta Velocità) appartenente ad un grande progetto europeo nato ad Essen nel 1994 (ma già in discussione tra Italia e Francia nel 1991), fa parte di un progetto più grande di integrazione territoriale promosso dall’Unione Europea con il fine di legittimare la sua posizione politica. L’utilità del progetto è sicuramente evidente: incentivare il trasporto su rotaia, riducendo l’inquinamento provocato da quello su gomma, collegare i principali check point industriali della zona euro e soprattutto dar vita a dei corridoi trans-europei di merci e persone, permettendo alla grande istituzione sovranazionale di legittimare le sue istituzioni tramite delle opere infrastrutturali ben visibili e dunque percettibili dal cittadino. La bocciatura in commissione rappresenta un fulmine a ciel sereno per l’Italia che, se non darà continuità al progetto, dovrà restituire i fondi messi a disposizione dell’UE (20% del totale) e dovrà dire addio ad un’opera infrastrutturale che avrebbe collegato il nostro Paese al corridoio commerciale Lisbona-Kiev, di vitale importanza per l’integrazione industriale della Val Padana e della nostra industria. La cattiva pubblicità ad un’opera della massima importanza, anche se per fini commerciali sarebbe più redditizio il corridoio ferroviario Genova-Rotterdam (in progetto), deriva da un modo tutto italiano di concepire lo sviluppo. I cittadini della Val di Susa, considerano la TAV un male per il semplice fatto che renderebbe la regione un semplice luogo di passaggio delle merci, una tappa obbligata, poiché il vero sviluppo si avrebbe nei due estremi (Torino e Lione). Dunque, se il progetto avesse previsto una possibilità di sviluppo per la Val di Susa e se questo fosse stato presentato meglio dall’Unione Europea e dallo Stato italiano, ora non staremmo assistendo a questo movimento di protesta NO TAV.

Ulteriori problemi, per la maggioranza s’intende, sono stati sollevati dalla decisione dell’esecutivo di posticipare la discussione del decreto che, in teoria, darebbe alla luce i due cavalli di battaglia di Salvini e Di Maio: reddito di cittadinanza e quota cento. Il Presidente Conte ha giustificato la decisione facendo riferimento alla difficoltà di concepimento di un decreto del genere in una manciata di giorni. Ovviamente, tale decisione parrebbe essere accompagnata da buon senso poiché coloro che si aspettavano di poter usufruire di questi due provvedimenti nel giro di qualche settimana non hanno ancora capito l’invasività economica e la serietà che il decreto richiederebbe. Dunque non hanno senso i malumori e le critiche di coloro che accusano il Governo di non tenere fede alle promesse, anche se cosa ci si può aspettare da chi una volta all’opposizione hanno le soluzioni a tutti i problemi?

Il Governo Conte, si trova di fronte, ancora una volta, ad una serie di quesiti a cui dovrà dare necessariamente una risposta. La calma e il buonsenso, dovranno essere l’arma con cui il Presidente e i suoi Ministri dovranno agire per ridare lustro al nostro Paese, rimettere in moto l’economia e soprattutto garantire una vita ed un’esistenza dignitosa al popolo italiano. Le soluzioni vanno trovate a monte e la propaganda, seppur finalizzata all’ottenimento del consenso in vista delle Elezioni Europee, non è sicuramente il modo umanamente (in riferimento al caso Sea Watch) più corretto di fare politica. Non sarà facile, poiché ci troviamo di fronte ad un governo di necessità, provocato dai fallimenti di vent’anni di buona politica dei giusti e dei saggi, nato dal contratto di due forze diverse e discordanti ma che sta cercando di tener fede alle promesse elettorali.

Gli scricchiolii della maggioranza, circa venti da sette mesi a questa parte, non faranno cadere il Governo. Questo è certo. Entrambi i partiti, all’inizio diffidenti, hanno bisogno l’uno dell’altro per affermarsi. Entrambi, per ragioni diverse, hanno la necessità di affiancarsi in questa esperienza “al di fuori degli schemi”. Però, la propaganda e la ricerca del consenso, a cui i due partiti aspirano (e quale migliore occasione per ricercarlo -e ottenerlo – se non governando), non è tutto.

La politica del consenso, ha bisogno di essere accompagnata da fatti. La ferrea decisione di contraddire la rigida posizione sui migranti del Ministro Salvini e le successive dichiarazioni del Presidente del Consiglio, facenti riferimento alla ricerca di una soluzione definitiva a monte, ne sono una chiara dimostrazione. Ovviamente, ciò non vale solo per la crisi migratoria che dal 2013 ci vede tristemente protagonisti, ma ha un valore universale che abbraccia tutti i gangli della politica.

Donatello D’Andrea