Stranieri nei campi come schiavi, sei arresti a Latina

Un momento dell'operazione della Polizia contro il caporalato, Terracina (Latina). Migranti lavorando vicino ad una serra.
Un momento dell'operazione della Polizia contro il caporalato. ANSA/ UFFICIO STAMPA POLIZIA DI STATO

ROMA. – Almeno 500 stranieri caricati in pulmini sovraffollati e fatti lavorare in “condizioni disumane” nei campi dell’agro pontino 12 ore al giorno, per 4 euro all’ora. Era un impero costruito sul caporalato e l’illegalità quello messo in piedi da un’organizzazione criminale che dietro la copertura di una cooperativa di Sezze, in provincia di Latina, sfruttava soprattutto nordafricani con la complicità di un sindacalista e di un ispettore del lavoro, che ufficialmente facevano credere di vigilare e tutelare quei dipendenti.

La polizia ha finora arrestato sei italiani per violazione sulla normativa del caporalato mentre altri 50 sono gli indagati coinvolti nell’inchiesta, la cui posizione è ancora da chiarire. A reclutare la manodopera erano due donne, entrambe finite in manette, che ingaggiavano come braccianti anche i migranti provenienti anche dai Cas, i centri di accoglienza straordinaria, e quindi in attesa del riconoscimento della protezione internazionale.

La paga era la metà rispetto a quella prevista dal contratto collettivo nazionale. Bisognava ubbidire a regole disumane senza la garanzia dei più elementari diritti e iscriversi al sindacato. Quest’ultimo obbligo, dietro la minaccia del licenziamento, veniva imposto affinché lo stesso sindacato “percepisse non solo le quote di iscrizione ma anche ulteriori introiti economici connessi alla trattazione delle pratiche finalizzate ad ottenere le indennità di disoccupazione”.

In questo caso, la tariffa criminale era di 60 euro per ogni pratica. Un business redditizio e costante: non a caso il sindacalista della Cisl arrestato, in un sms inviato a un altro collega, aveva scritto: “A Babbo Natale ho chiesto…4.000 disoccupazioni e un gatto”.

L’ispettore del lavoro infedele, invece, aveva ottenuto un appalto per la sicurezza sul lavoro a favore di una ditta a lui legata. E l’organizzazione riforniva di manodopera a basso costo centinaia di aziende della provincia di Latina, Roma, Frosinone e Viterbo. Tra i cinquanta indagati ci sono infatti imprenditori agricoli, commercialisti, funzionari ed esponenti del mondo sindacale. Gli inquirenti hanno disposto il sequestro di beni (terreni, case, depositi e auto) per 4 milioni e la somma di 500 mila euro.

I migranti per essere trasportati nei campi venivano ammassati come animali: anche in 20 su furgoni con una capienza di otto posti. Al centro dell’indagine sono finite due società, una, la Lb, che si occupava di trasportare i lavoratori stranieri nelle aziende agricole delle campagne pontine, l’altra – la Agri Amici – che somministrava invece il lavoro occupandosi di reclutare i migranti.

Uno dei testimoni chiave dell’inchiesta è stato proprio un dipendente della coop addetto alle buste paga che, davanti alla serie di illeciti, ha dato le dimissioni e riferito tutto alla polizia. Tra i primi a complimentarsi con la polizia per gli arresti è stato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per il quale “una immigrazione senza regole porta a sfruttamento”.

E sul tema migranti, non sono mancate anche le polemiche sulle politiche del governo. L’ex procuratore di Torino, Armando Spataro, ha lanciato un appello alla ‘resistenza civile’. “Diventiamo tutti sostenitori di Baglioni e guardiamo il festival di Sanremo! “Basta con la caccia al migrante, le parole pesano come pietre”, ha detto Spataro riferendosi alle dichiarazioni di qualche giorno fa del cantante, il quale aveva detto che “non si può pensare di risolvere il problema evitando lo sbarco di 40-50 persone, siamo alla farsa”. Spataro, in pensione da poche settimane ha spiegato che il decreto sicurezza contiene dei passaggi che non sono compatibili con la normativa generale e con i principi internazionali”.

(di Lorenzo Attianese/ANSA)