Il Pil della Cina ai minimi dal 1990, con guerra dazi a 6,6% nel 2018

Un lavoratore dello stabilimento di lavorazione dell'acciaio a Hangzhou, circondato da bobine di acciaio. Cina
Un lavoratore dello stabilimento di lavorazione dell'acciaio a Hangzhou. (Cina). (Chinatopix via AP)

PECHINO. – La Cina frena ancora nel quarto trimestre 2018 con lo scontro sui dazi con gli Usa, mentre le parti lavorano all’auspicato accordo: la crescita economica congiunturale è dell’1,5%, quella annuale del 6,4%. I dati centrano le previsioni e portano a un Pil per l’intero 2018 del 6,6%, meno del 6,8% del 2017 (rivisto venerdì dal 6,9%) e del 6,7% del 2016, fino ai livelli più bassi dal 3,9% del 1990, frutto delle turbolenze degli eventi di piazza Tiananmen.

Lo scorso anno si è caratterizzato per un Pil in progressivo rallentamento: dal 6,8% del primo trimestre al 6,7% dei 3 mesi successivi e al 6,5% di luglio-settembre, che era già il passo più lento da inizio 2009 per il default di Lehman Brothers. La crescita rallenta ma tiene e il risultato finale, il 6,6%, rispetta formalmente il target “intorno al 6,5%” annunciato a marzo dal governo, mentre le attese degli analisti sono di un’ulteriore calo anche nel 2019 che dovrebbe essere fissato al 6-6,5%, come hanno riportato i media cinesi riflettendo quanto deciso dalla Central economic work conference di dicembre.

Ning Jizhe, a capo dell’Ufficio nazionale di statistica, ha osservato in un’affollata conferenza stampa che, in un contesto esterno “complicato e difficile” e con spinte al ribasso in aumento sull’economia, ci sono ampi margini per le politiche macroeconomiche di supporto per superare le criticità del 2018 segnato dal rallentamento di produzione industriale (+6,2% nel 2018), consumi (+9%), investimenti (+5,9%) ed export, salito di appena il 7,1% da oltre il 10% del 2017.

La disputa commerciale con gli Usa “ha colpito l’economia domestica”, ma l’impatto resta “gestibile”, ha spiegato Ning, per il quale ci sono segnali di stabilizzazione dell’economia negli ultimi due mesi, con la domanda interna a fare da traino, ma abbastanza a compensare la trasformazione in corso dell’economia. C’è fiducia su “una ragionevole crescita” nel 2019, ma la difficoltà del governo è quella del giusto mix: se si riduce il debito cede anche la crescita, se non non c’è la crescita è più facile che aumenti lo scontento nella popolazione.

Il premier Li Keqiang, nei giorni scorsi, ha affermato che il governo non avrebbe permesso all’economia di “precipitare da una scogliera”. Gli analisti hanno stimato l’arrivo di un pacchetto fiscale variegato da 300 miliardi di dollari. La Cina, ha detto il presidente Xi Jinping a un evento della Scuola del Pcc, deve tenere alta la guardia contro i “cigni neri” e respingere i rischi del tipo “rinoceronte grigio”: si tratta, rispettivamente, di eventi inaspettati con gravi effetti e di rischi altamente probabili e ignorati.

Scenari che mettono l’accordo con Donald Trump sul commercio quanto mai auspicabile. Nella categoria del “rinoceronte grigio” potrebbe ricadere la mina del tasso di natalità: nel 2018 è risultato non solo più basso da quando nel 1980 è diventata effettiva la politica del figlio unico, ma è scesa addirittura ai minimi dal 1961, dalla disastrosa politica maoista del “grande balzo in avanti”.

Lo scorso anno 2 milioni di donne in meno sono diventate madri rispetto al 2017, pari alla seconda contrazione di fila dopo il via libera alla politica dei “due figli” varata nel 2016. La popolazione, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, è salita di 15,23 milioni di unità, a 1,395 miliardi (+3,81% annuo). Il governo stima un picco al 2029 di 1,442 miliardi, prima dell’avvio della contrazione della popolazione.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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