Migranti: “In Libia con l’inganno, ci avevano detto Italia”

Migranti a bordo di un'imbarcazione controllati da un soldato armato.
Migranti a bordo di un'imbarcazione controllati da un soldato armato.

ROMA. – Li hanno riportati in Libia dicendo loro che sarebbero andati in Italia ed ora minacciano di uccidersi piuttosto che sbarcare a Misurata e tornare nei centri di detenzione dove per mesi hanno subito violenze. I 144 migranti a bordo del cargo Lady Sham che li ha salvati poco prima che il loro gommone affondasse denunciano “l’inganno” e si rifiutano di scendere a terra. Una situazione che non si è ancora sbloccata visto che la nave si trova al largo della città libica.

Quello che è accaduto, denuncia intanto l’Unhcr “è contro il diritto internazionale”. A riferire cosa sta avvenendo a bordo della Lady Sham è Alarm Phone, la stessa piattaforma che raccoglie le chiamate dai migranti e che ieri ha segnalato la presenza del gommone. “Abbiamo parlato con diverse persone sulla nave – scrive su Twitter – Affermano che gli è stato detto che lo sbarco sarebbe avvenuto in Italia e dunque la prospettiva di sbarcare in Libia è uno shock. Siamo molto preoccupati per il loro stato fisico e mentale”.

La conferma in un altro tweet: “Ci hanno contatto 2 sopravvissuti dicendo che preferirebbero uccidersi piuttosto che sbarcare”. Parole che non spostano la linea di Matteo Salvini, che di prima mattina diffonde i dati sugli sbarchi: 155 persone arrivate nei primi 20 giorni del 2019 contro le 2.730 dello stesso periodo dell’anno scorso. “Ieri sono stati recuperati dalla Guardia Costiera libica 393 migranti. La collaborazione funziona, gli scafisti, i trafficanti e i mafiosi devono capire che i loro affari sono finiti, meno partenze meno morti, la nostra linea non cambia”.

E il ministro è protagonista anche di un botta e risposta con Gino Strada, che attacca a testa bassa il governo “dove la metà sono fascisti e l’altra metà coglioni”. “Sui migranti – dice il fondatore di Emergency – il M5s è sulla linea di Salvini, un segnale terribile. La priorità è salvare vite umane”.

“Evidentemente la fine della mangiatoia dell’immigrazione clandestina li sta facendo impazzire – risponde il ministro – Possono insultarmi mattina e sera, io non mollo”.

Ma le critiche arrivano anche da Oim e Unhcr. “I principi a cui i governi devono attenersi – afferma Carlotta Sami – sono quelli del porto sicuro e dell’intervento in acque internazionali. Se delle persone vengono salvate in acque internazionali, come in questo caso, devono essere portate nel porto sicuro più vicino e la Libia non è un porto sicuro”.

Il problema dall’estate scorsa ruota sempre attorno allo stesso punto, la dichiarazione dell’area Sar da parte della Libia. Ogni evento che accade in quell’area è formalmente sotto la responsabilità di Tripoli nel momento in cui prende il coordinamento dei soccorsi, come avvenuto ieri. Ma è evidente a tutti che i libici non hanno né i mezzi né le capacità per gestire quella responsabilità. Non solo: l’Europa riconosce l’area Sar libica ma non riconosce il paese come ‘place of safety’, vale a dire il porto sicuro dove sbarcare i migranti.

Per tentare di migliorare almeno la capacità d’intervento in mare, l’Italia ha approvato a luglio scorso un decreto che prevedeva la cessione gratuita di 12 motovedette, 10 ‘classe 500’ della Guardia Costiera e 2 ‘classe Corrubia’ della Gdf. Le imbarcazioni sarebbero dovute partire entro un mese ma ad oggi sono ancora a Messina, dove si sta completando l’addestramento dei libici. Insomma, prima di maggio nessuna motovedetta verrà consegnata.

“Servirebbe che tutti i paesi europei e mediterranei lavorassero per istituire un sistema unico di sbarco e salvataggio immediato. Ma – dice ancora Sami – la volontà politica non c’è”.

 

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