Conte a Davos: “L’euro ha creato debito, ora Ue del popolo”

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il suo intervento a Davos. Immagine d'archivio.
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il suo intervento a Davos. Immagine d'archivio. (ANSA)

DAVOS. – E’ a Davos, non a Roma, Berlino o Bruxelles, che va in scena un nuovo capitolo del confronto fra l’Europa nella visione del premier italiano Giuseppe Conte, un nuovo “umanesimo” nel nome e per conto del popolo, e quella della cancelliera Angela Merkel, del multilateralismo minacciato dalle forze sovraniste come unica alternativa alla “miseria” e della cooperazione come alternativa al prevalere dei soli interessi nazionali.

Entrambi al Forum economico mondiale hanno lanciato uno special address davanti all’elite globale che ogni anno si riunisce a Davos. Per Conte l’esordio di fronte al ‘gotha’ dell’economia hight tech e del gotha finanziario mondiale comincia sulla difensiva. Di fronte al gelo nei rapporti con la Francia, e di rimando alle difficoltà sul versante migranti dopo che Berlino – con una coincidenza forse non casuale con il trattato di Aquisgrana che rafforza la relazione speciale con Parigi – si è sfilata dal pattugliamento navale del programma Sophia.

E’ l’occasione – già in un colloquio con i giornalisti italiani – per lanciare il tipo d’Europa che il governo italiano ha in mente e vuole promuovere davanti ai riflettori di Davos. Maggiore sforzo europeo sui migranti, oppure “facciamo da soli”. Uno schema che, su scala più ampia, Conte ripropone nel più solenne contesto del suo ‘special address’, al termine di una giornata che l’ha visto impegnato in un bilaterale con “molte convergenze” col presidente brasiliano Jair Bolsonaro e in un incontro con Tim Cook (Apple) che investirà ancora in Italia – dove alla cooperazione giudiziaria (vedi il caso Battisti) si aggiunge quella economica con nuove forniture militari italiane al Brasile.

Se per Conte il Pil italiano può crescere dell’1,5% quest’anno smentendo le stime (0,6%) presentate a Davos dal Fmi, sull’architettura istituzionale europea, la distanza da Merkel e dall’estabilishment europeo non potrebbe essere maggiore: il prezzo della stabilità dell’euro – dice il premier – è stato “un crescente debito pubblico” e “la frugalità di bilancio ha frenato la crescita del Pil”. La Bce “non ha poteri valutari adeguati” e l’Italia vorrebbe un doppio mandato come per la Fed: quasi un anatema per Berlino.

Come sul tema dei migranti, Conte descrive una gestione europea in cui “gli italiani sono stati molto pazienti” ma che ora gli stessi “popoli” mettono in discussione: “L’opinione pubblica europea per anni ha considerato il ‘progetto europeo’ come lo strumento per affrontare queste sfide e proteggere dal loro impatto negativo” ma oggi “sta mettendo in dubbio la sua validità e credibilità”.

La risposta è una Ue del popolo, fatta dal popolo e per il popolo”: lo si legge in stampatello sul testo dell’intervento del premier, che cita, aprendo una parentesi in italiano di un discorso in inglese, la Costituzione italiana (“la sovranità appartiene al popolo”) e invoca un “umanesimo” europeo. Toni di cesura con i tradizionali equilibri europei cari alla Merkel, visioni ben diverse, anche se entrambi i leader politici faranno di tutto, a Davos, per limare i contrasti con una foto, postata dal premier italiano, che li ritrae sorridenti mentre bevono un’aranciata.

La platea del Wef reagisce con un solo, tiepido applauso al discorso del premier italiano, in una hall riempita solo a metà (ma questa edizione, disertata dagli americani, ha meno partecipanti del solito). Anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria, fra gli incontri con gli investitori, evoca un’Europa diversa da quella in cui – dice con riferimento implicito alla Germania – l’Italia è penalizzata da un modello di crescita guidata dall’export.

Due visioni dell’Europa diverse, dunque, si confrontano a Davos, un groviglio di problemi che forse allargando l’obiettivo dall’Europa alle altre economie globali, percorse da sussulti sovranisti, ha più a che fare con il capitalismo della globalizzazione: le parole di Bono, veterano del Wef, ricordano a tutti che a spingere verso il populismo, più che l’Ue, è un capitalismo che ha portato via più persone dalla povertà di “qualsiasi altro sistema” ma è anche “una bestia selvaggia e se non addomesticata può divorare un sacco di persone lungo la strada”.

(di Domenico Conti/ANSA)