Trump si arrende, con shutdown niente Stato dell’Unione

Il presidente Donald Trump offre una serie di dichiarazioni alla stampa.
Il presidente Donald Trump offre una serie di dichiarazioni alla stampa. EPA/JIM LO SCALZO

WASHINGTON. – Alla fine Donald Trump, almeno stando alle apparenze, ha ceduto: non terrà il tradizionale discorso sullo stato dell’Unione fino a che il governo federale non sarà uscito dal tunnel dello shutdown, lungo oramai 34 giorni. Ad annunciarlo lo stesso presidente americano su Twitter, sottolineando come si tratti della prima volta nella storia Usa che lo ‘State of the Union’ viene rinviato a data da destinare.

L’intervento alla Camera dei Rappresentanti, davanti al Congresso riunito in seduta plenaria e ai membri del governo e della Corte Suprema, era programmato per martedì prossimo, 29 gennaio. Ma la speaker Nancy Pelosi, terza carica dello stato, dopo un lungo braccio di ferro con la Casa Bianca non ha dato l’autorizzazione per l’utilizzo dell’aula, adducendo motivi di sicurezza.

Lo shutdown – che per il secondo mese consecutivo lascerà 800mila dipendenti federali senza stipendio – colpisce infatti anche il personale addetto a garantire la protezione di Capitol Hill, compresi gli agenti del Secret Service, l’agenzia federale che si occupa di vigilare sulle alte cariche dello Stato. Trump ha prima tentato di resistere, evocando anche la possibilità di una sede alternativa da cui pronunciare il suo discorso, poi ha capitolato, riconoscendo come “non c’è alcun luogo che possa competere con la storia, la tradizione e l’importanza della Camera”.

La leader democratica in Congresso canta vittoria, mettendo a segno la prima stoccata in un accesissimo duello che oramai col tycoon dura dall’inizio dell’anno. Solo una volta a un presidente degli Stati Uniti era stato rifiutato l’accesso all’aula della Camera, quando nel 1986 lo speaker democratico Tip O’Neill negò a Ronald Reagan di intervenire per convincere i deputati a finanziare un pacchetto di aiuti per i Contras, il gruppo di ribelli filo-Usa in Nicaragua.

Ma la battaglia sembra destinata a durare ancora a lungo. Lungi dall’essere una resa, il passo indietro di Trump – sottolineano diversi osservatori – sembra piuttosto essere l’ennesimo calcolo politico volto innanzitutto a dimostrare all’opinione pubblica come la leadership del partito democratico si sia radicalizzata, spingendosi anche a stravolgere quella che è una tradizione mai messa in discussione, anche nei momenti di lotta politica più difficili.

Ma la speranza della Casa Bianca è che ora si apra uno spiraglio per arrivare a un compromesso, con i democratici che – pur non arretrando di un millimetro sul ‘no’ al muro – per la prima volta sono arrivati a mettere sul piatto fino a 5,7 miliardi di dollari per la protezione del confine col Messico, esattamente la cifra chiesta da Trump. Potrebbe essere un punto di partenza per raggiungere un’intesa, al contrario delle due leggi anti-shutdown in votazione al Senato destinate a fallire come le precedenti.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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