Allarme cibo per Brexit: “Scaffali vuoti senz’accordo”

Un autista di autobus di Londra con la bandiera dell'Europa e la scritta No Brexit.
Un autista di autobus di Londra con la bandiera dell'Europa e la scritta No Brexit.

LONDRA. – Il teatrino della Brexit riapre il sipario alla Camera dei Comuni, con le stesse battute e gli stessi attori in cartellone. A partire da Theresa May, impegnata a destreggiarsi ora fra l’opzione d’un rinvio – che le opposizioni provano a imporle – e il tentativo di allontanare il contestato meccanismo del backstop sull’Irlanda del Nord per rendere il suo accordo di divorzio dall’Ue digeribile ai falchi ribelli di casa Tory. Ma intanto il pubblico pagante inizia a spazientirsi: incitato dall’allarme dei boss di numerose aziende della grande distribuzione sullo spettro d’una penuria degli approvvigionamenti persino di generi alimentari di base nell’eventualità di un’uscita ‘no deal’ del Regno dall’Ue.

Una hard Brexit minaccerebbe in modo diretto – almeno nell’immediato – le forniture di vari prodotti d’importazione, denunciano in una lettera aperta i vertici di alcune delle maggiori catene di supermercati e fast food presenti sull’isola (Sainsbury’s, Asda, Marks & Spencer, Waitrose, The Co-op, Lidl, McDonald’s, KFC). Non senza evocare l’immagine sinistra degli “scaffali vuoti”.

“Siamo estremamente preoccupati – si legge nel testo – dei rischi significativi che incombono sul mantenimento della scelta, della qualità e della durata dei cibi a disposizione dei nostri clienti” nello scenario d’un taglio netto dall’Europa: scenario destinato a generare “un’inevitabile pressione sui prezzi a causa dei costi di trasporto più alti, della svalutazione della sterlina e dei dazi”. Tanto più considerando come scadenza di riferimento il 29 marzo, data messa nero su bianco per l’addio a Bruxelles, nel pieno d’una stagione in cui il Regno Unito importa dal continente fra il 70 e il 90% della frutta e della verdura, solo per fare un esempio.

Di qui l’appello al governo e al Parlamento a “trovare urgentemente una soluzione per evitare lo shock di una Brexit no deal” sui consumatori. Uno shock evocato del resto da Bruxelles da Sabine Weyand, vice di Michel Barnier, come un epilogo “a rischio ormai elevato”, se non altro per forza d’inerzia dinanzi al nodo dei veti contrapposti fra Downing Street e Westminster. Nodo che la ripresa del dibattito ai Comuni è chiamata a cominciare ad allentare. Senza alcuna garanzia.

La seduta prevede un voto sulle ‘nuove linee’ che la premier indicherà di voler seguire dopo la bocciatura a valanga del primo tentativo di ratifica. Ma si tratterà di un voto interlocutorio. Ciò che conta sono gli emendamenti. Due in particolare, se lo speaker John Bercow li ammetterà: quello preparato dalla laburista Yvette Cooper, con il sostegno delle opposizioni e d’un drappello di colombe Tory pro Remain, che laddove approvato obbligherebbe il governo a chiedere all’Ue uno slittamento della Brexit oltre il 29 marzo in caso di stallo protratto al 26 febbraio; e quello antitetico del conservatore brexiteer Graham Brady che impegnerebbe invece il primo ministro a rinegoziare “soluzioni alternative” al backstop (il freno di emergenza vincolante sui confini aperti in Irlanda che Dublino e Bruxelles insistono peraltro a considerare imprescindibile).

Al momento l’orientamento di May (nonostante le divisioni fra i suoi stessi ministri) appare netto. No al primo emendamento, che secondo lei mirerebbe a “impantanare la Brexit”; apertura sul secondo, in vista di un possibile ricompattamento con gli euroscettici ultrà alla Boris Johnson: il quale per parte sua lancia segnali di pace, a patto che lady Theresa spunti dai 27 una non meglio precisata “clausola di libertà” sul backstop.

Più facile da dire che da ottenere, visto che l’Ue “non è aperta a rinegoziare” alcunché allo stato, come ribadito oggi da un portavoce. E anzi, nelle parole tranchant del vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen, giudica “stupido” – in attesa che a Westminster emerga uno straccio di maggioranza – anche solo congetturare di “fare concessioni” a Londra.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

Lascia un commento